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Pet Sematary (2019) – La Recensione

Stephen King una volta ha detto: “I am the literary equivalent of a Big Mac and Fries”. Un pasto frugale, semplice, pochi elementi che però sanno accontentare il palato di molti, anzi quasi tutti. Non solo nel freddo Maine.

Anche Pet Sematary è ambientato nel grigio Stato della east coast che ha dato i natali a King. Per l’esattezza nella cittadina di Ludlow, dove il dottor Louis Creed (Jason Clarke) con la moglie Rachel (Amy Seimetz) e i due figli Gage (Hugo e Lucas Lavoie) ed Ellie (la bravissima Jeté Laurence), decidono di trasferirsi dalla confusionaria e dispersiva Boston.

Un incipit abbastanza standard arricchito dopo poco più di 2 minuti da un vacuo quiet bang jump, un camion che passa alle spalle di Rachel, facendo sussultare lo spettatore. A questo punto diventa subito evidente una differenza sostanziale nella narrazione del film rispetto al libro. Il protagonista degli eventi successivi non sarà infatti il piccolo Gage, ma la dolce Ellie. Apparentemente una licenza da poco ma capace di riconfigurare bruscamente alcune dinamiche familiari disfunzionali. La ragazzina scopre infatti che a pochi passi dalla loro nuova dimora c’è un Pete Sematary. Un vecchio e misterioso cimitero per animali, dove si consumano strani riti. Un luogo che il nuovo vicino di casa Jud Crandall (John Lithgow) descrive minacciosamente come un posto capace di portarti “further than you ever want to go”. Qui gli animali che vengono sepolti, poi ritornano in vita. Ma è chiaro che “nessuno torna più come prima”. Nessuno. Tutto il resto, soprattutto per chi non ha letto il libro di King, sarebbe un ingiustificato spoiler.

Diretto da Kevin Kölsch e Dennis Widmyer, Pete Sematary è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 1983 scritto da Stephen King, già portato sul grande schermo nel 1989 col film Cimitero vivente. A sua volta King aveva tratto il romanzo da un creepy tale popolare dal titolo “The Monkey’s Paw” nota per la versione dello scrittore britannico William Wymark Jacobs .

Il rapporto di King con le trasposizioni cinematografiche dei suoi romanzi non è mai stata idilliaca. Finanche Shining, quello che la critica, e forse il mondo intero, considera un capolavoro, è stato di recente aspramente criticato dallo scrittore. A tal proposito King ha infatti detto: “il libro è caldo, il film è freddo. Il libro finisce nel fuoco, il film nel ghiaccio.” A domanda diretta invece ha dichiarato che la trasposizione cinematografica preferita tra i suoi romanzi è senza dubbio Stand By Me – Ricordo di un’estate.

Quanto a Pet Sematary molti dei temi di fondo della narrativa dello scrittore restano inalterate. Ad esempio, anche se un po’ troppo in lontananza si avverte l’eco dell’eredità di antichi riti tribali e le terre dei Mi’kmaq, colonizzate nel corso degli anni da ricchi proprietari wasp. I registi portano avanti la storia usando flashback, visioni, scricchiolii, voci e qualche jump scares di troppo, riuscendo comunque a non far danni e a confezionare un prodotto godibile e rispettoso della fonte narrativa originale. Forse proprio questo timore reverenziale nei confronti di King ha reso la pellicola un filo pavida e di certo non pionieristica nel genere.

Nel complesso però il film funziona proprio perché i pochi elementi narrativi sono funzionali e quelli stilistici non distraggono lo spettatore dal crescendo narrativo. Insomma, che sia un complimento o meno, Pet Sematary è proprio come un semplice e gustoso Big Mac. Garantito da Stephen King.