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Solo: A Star Wars Story – La Recensione

Quando parliamo di Han Solo ci vuole un certo timore reverenziale, quello che si addice
ad un personaggio iconico dell’universo di Star Wars.
Perché Solo è colui che possiede il Millennium Falcon, è quello che ha compiuto la rotta
di Kessel in meno di dodici Parsec.
È lo strafottente guascone che ha fatto innamorare la Principessa Leia – e anche l’unico che potesse tenerle testa.
Ed è stato il primo a sparare a Greedo sulla taverna di Mos Eisley, con buona pace del
politically correct.

Parliamo di un’eredità importante perché Han Solo è anche, e soprattutto, quella caratterizzazione resa unica dalla faccia da schiaffi del giovane Harrison Ford.
Anzi, possiamo affermare che Han Solo sia Harrison Ford.
Pertanto avventurarsi nella giovinezza di un personaggio tanto amato, sganciandosi dalla
sua forma originale, era sicuramente una sfida dalle mille insidie.
Sfida raccolta alla fine da Ron Howard, dopo l’avvicendamento alla regia con Phil Lord e Christopher Miller – allontanati per divergenze creative, leggasi attriti con la produzione.
E Howard, insieme agli sceneggiatori Lawrence e Jon Kasdan, costruisce un film che sarà
sì nato sotto cattivi auspici, ma che dispone di un cast di stelle e di ottime rivelazioni.

Alden Ehrenreich è Han Solo

La trama si dispiega negli anni in cui il giovane Solo si costruisce la fama di truffatore, bandito, disertore e, senz’altro, di miglior pilota della galassia: dalla fuga da Corellia
dove Han vive una storia d’amore con la bella Qi’ra (Emilia Clarke) e sogna un futuro da
pilota tra piccole truffe e furti, fino all’ incontro-scontro con Chewbacca e con una banda
di contrabbandieri, che lo porterà ad incrociare la strada con Lando Carlissian e con il
leggendario Falcon per colpa di una misteriosa organizzazione criminale, l’Alba Cremisi,
la quale nasconde più di quanto ci si possa aspettare.

Solo ha oggi l’aspetto di Alden Ehrenreich (indimenticabile in Ave Cesare dei fratelli
Cohen), il quale si cuce addosso con onore dei vestiti pesantissimi: il paragone con Ford
è inevitabile, per quanto si dovrebbe evitare ogni confronto.
Ma Ehrenreich è capace di dare al suo Solo un’impronta personale, rendendo Han un gradasso acerbo ma che, per fortuna, non scimmiotta il personaggio di Ford.
Il film, come ogni Star Wars che si rispetti, è un tripudio di effetti visivi dove la narrazione
scorre fluida e senza intoppi: eppure, nonostante gli sforzi profusi e le numerose strizzate
d’occhio alla trilogia originale, in molte occasioni Solo non riesce ad agganciarci del tutto
e farci entrare appieno nelle atmosfere della galassia lontana lontana.
Oltre al già citato Alden Ehnrenreich, ottime le prove di Donald Glover, Woody Harrelson e  Paul Bettany (quest’ultimo che ormai si divide tra MCU e Star Wars senza problema
alcuno).

Una pesante eredità che Alden Ehrenreich ha saputo portarsi sulle spalle

E rimanendo nel solco della tradizione, Solo è anche un film dal forte impatto femminile: non soltanto grazie alla bravissima Emilia Clarke che ci traghetta fino alla sorpresa finale, ma anche nella figura di L3-37, il droide vagamente femminista che si batte per la causa della liberazione degli altri robot da una vita di schiavitù.

 Articolo a cura de La Sposa