Se con “Red, White & Blue” di Simon Rumley c’eravamo trovati di fronte ad un Rape & Revenge movie atipico, in quanto mancava innanzi tutto la prima delle due componenti, quella del rapimento e perchè la vendetta era molteplice, con “The seasoning house” questa linea di continuità non viene interrotta.
Nella pellicola britannica di Paul Hyett ci sono si delle differenze sostanziali.
Tuttavia anche qui troviamo alcune modifiche che rendono anche questa pellicola abbastanza atipica come quella di Rumley.
Qui ad essere più carente è la seconda parte, quella della vendetta.
Anche se visto il contesto in cui ci troviamo, di motivi per una vendetta ce ne sarebbero più di uno. Per inquadrare il film abbiamo poche ma essenziali informazioni.
Siamo negli anni 90’, 1996 precisamente.
Lo sfondo è quello dei Balcani, terra in grandissimo fermento in quegli anni, causa guerra. Un commando di soldati ( presumibilmente serbi ) rapisce tutte le giovani donne che trova per poi rinchiuderle in una “casa d’accoglienza” in cui le povere sventurate devono intrattenere i maschietti più sadici, malati, pervertiti e malsani del luogo.
A gestire questa “casa” è Viktor (Kevin Howarth), e tra le povere ragazze segregate al suo interno ce n’è una, Angel (la bravissima Rosie Day), sordomuta, e con una grossa voglia sul viso, che ha lo sfortunato/fortunato (dipende dai punti di vista) compito di prendersi cura delle altre ragazze che vengono date in pasto ai maschietti.
Una routine ripetitiva che consiste in poche cose.
Drogare le fanciulle, cucinare per Viktor, ripulire le stanze delle povere donne dopo gli “intrattenimenti” e via di nuovo.
Droga, cucina, pulisci, repeat.
Una situazione dalla quale sembra non ci sia via d’uscita. Angel ne è quasi rassegnata, essendo poi nelle grazie di Viktor, ma tutto cambia in lei quando un giorno arrivano alla “seasoning house” dei clienti , soprattutto uno, che Angel ricorda benissimo.
La pellicola di Hyett può essere divisa in due tronconi principali. Il primo è quello che ci porta direttamente nel contesto della “casa degli orrori”.
Un appartamento piccolo, sporco, fatiscente, in cui una persona normale non entrerebbe neanche con una tuta protettiva.
Un luogo abitato da un magnaccio senza scrupoli ed il suo aiutante, e dove le povere ragazze che vi sono rinchiuse aspettano solo il giorno della loro fine.
Perchè usare la parola vivere, in quella situazione , non è affatto appropriato. Hyett è bravo nel mostrare senza esagerare la sofferenza delle povere fanciulle e le torture / abusi a cui sono sottoposte. Non oltrepassa mai il limite. Limite oltrepassato per esempio in “A Serbian film”, che ricorda per alcuni aspetti questo film. Li la spettacolarità aveva preso il sopravvento su tutto.
Qui invece il regista sceglie si di rendere lo spettatore consapevole dello squallore del luogo e delle condizioni disumane in cui le ragazze sono tenute, ma senza mai strafare, senza voler mai essere eccessivo ( grande punto a favore ).
La seconda parte, quella che dovrebbe essere relativa al “revenge”, non è una vera e propria vendetta. Assomiglia più che altro ad una fuga verso la salvezza. Fuga in cui Angel è comunque costretta a confrontarsi con Viktor e gli ospiti particolari che citavamo poco sopra.
La ragazza rispetto ai suoi aguzzini ha il vantaggio di sapersi ben muovere all’interno delle intercapedini delle pareti della casa.
Le usa come via di fuga per poter passare inosservata da una stanza all’altra per aiutare le altre ragazze. Quei cunicoli ci ricordano un altro cult del passato, “La casa nera” del maestro Wes Craven.
Angel è sordomuta. A parlare infatti nel film sono i suoi occhi, indimenticabili, e le immagini che mostrano sempre il dovuto e poco più. Pochi sono quindi i dialoghi, scelta molto coerente.
Giusti e ben dosati sono i flashback che spiegano un po’ alla volta come Angel sia finita lì dentro.
Unico neo che possiamo trovare alla pellicola è la poca credibilità che ha vedere la ragazza far fuori così tante persone nonostante lei sia molto gracile e debole fisicamente, anche se in qualche caso Hyett salva capra e cavoli.
L’interpretazione di Rosie Day è veramente ottima.
Howarth fa il suo, e con le scelte di Hyett viene fuori un prodotto che forse più di “A Serbian film” riesce a puntare il dito su quello che per il popolo serbo è stato l’inferno della guerra dei Balcani. Lo fa soffermandosi molto meno alla spettacolarità ed al lato gore che nel film di Spasojević la facevano da padrone, ma mirando più al concreto ed alla reale situazione di squallore e violenza che le donne dell’epoca dovettero subire, mostrando sempre il giusto e mai niente più quasi come a voler preservare per quanto possibile la loro dignità.
Il finale poi, è la degna chiusura di una pellicola sicuramente ben riuscita, e che nel sottogenere del “Rape & Revenge” farà sentire la sua influenza e parlare di sè nel futuro.
Quello che in “A Serbian film” era troppo spettacolarizzato e in “Martyrs” e “Hostel” era troppo costruito qui è reale. Il fatto è veramente accaduto nell’epoca della guerra dei Balcani. Era questo l’orrore che il regista voleva far relamente risaltare.
I film del panorama horror Britannico ultimamente, sfornano prodotti sempre più validi senza soluzione di continuità. Speriamo duri ancora a lungo.