Riccardo Scamarcio in Pericle il Nero

In Italia facciamo fatica a definire film come Pericle Il Nero di Stefano Mordini.
Più semplicemente ci sbrighiamo a definirli di genere, ma è anche vero che ormai non sappiamo neanche più che cosa significhi di genere.
Pericle il Nero può essere definito un dramma noir, ma andando oltre questa definizione ci sono lavori, come quello di Mordini, che hanno un loro personale registro, che differisce o cerca di farlo da un certo tipo di cinema, didascalico e prevedibile.
Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Giuseppe Ferrandino, il racconto sostituisce il contesto italiano (Napoli e Pescara) con quello belga e francese.

Quello di Pericle il Nero è una storia di risalita, attraverso la caduta, lo smarrimento. Pericle Scalzone (Riccardo Scamarcio), detto il nero, lavora per conto del boss camorrista Don Luigi, emigrato in Belgio. Il ruolo di Pericle è quello di fare letteralmente il culo alle persone ed è l’unica cosa che gli riesce meglio perché dalla vita in fondo non ha mai preteso altro, o meglio non ci ha provato.
Quando una spedizione punitiva finisce male, Pericle è costretto a scappare; una decisione che non prende autonomamente, è un uomo privo di coscienza di sé, uno strumento che si muove e agisce per volontà altrui, e che quando è autore di un’azione, quasi sempre è quella sbagliata, così finisce che siano gli eventi a prendere il sopravvento sulla sua esistenza.
È indefinito, incapace di comunicare, infatti ogni parola è detta a mezza bocca, le frasi sono ingarbugliate come se ci fosse un muro davanti alle sue labbra. Capiamo qualcosa in più di lui attraverso il voice over in cui Pericle cerca di evadere da una realtà grigia e ruvida, un aspetto che Mordini mette in scena efficacemente, non c’è luce nel suo mondo, solo oscurità.
Eppure Pericle ha bisogno di un contatto, lo cerca forzatamente, lo trova a Calais, in Francia, negli occhi di una donna che non lo giudica, che sembra accettarlo così com’è perché la solitudine e la precarietà avvolgono più esistenze.
Pericle si esprime con la fisicità, ma anche il sesso è vissuto meccanicamente, è forzato, sofferto, simbolo di un’instabilità costante.

Se il dramma interno di una persona spezzata è ben costruito: i silenzi, le inquadrature che colgono una vita affrontata di spalle, trascinata e zoppicante, Mordini non dà abbastanza spazio e peso al lato noir delle storia, dove la natura criminale non entra con decisione scegliendo una caratterizzazione del male soft, persino il boss appare come un mite, un uomo dalle buone maniere.
Tuttavia quando il cammino sembra incastrarsi ed indugiare il buio riappare, questa volta per volontà di un risoluto Pericle il nero.
Il tentativo di ascesa può avvenire percorrendo fino in fondo la discesa, è l’unico modo per Pericle di aprire il suo sguardo alla speranza, ad un bagliore di riscatto.

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Redattore

- Il cinema per me è come un goal alla Del Piero, qualcosa che ti entra dentro all'improvviso e che ti coinvolge totalmente. È una passione divorante, un amore che non conosce fine, sempre da esplorare. Lo respiro tutto o quasi: dai film commerciali a quelli definiti banalmente autoriali, impegnati, indipendenti. Mi distinguo per una marcata inclinazione al dramma, colpa del Bruce Wayne in me da sempre. Qualche gargamella italiano un tempo disse che di cultura non si mangia, la mia missione è smentire questi sciacalli, nel frattempo mi cibo attraverso il cinema, zucchero dolce e amaro dell'esistenza -