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Once Upon a Time in… Hollywood – Recensione

C’era una volta a… Hollywood non è un capolavoro. Ma chi se ne frega?! Il nono film di Tarantino è una scanzonata dichiarazione d’amore al cinema, a Los Angeles e all’amicizia.

Tutto il resto non conta. Non contano neanche i fatti, come quelli di Sharon Tate rimasticati, tanto quanto la narrazione ucronica di Bastardi senza gloria. Il cinema ha il potere di cambiare la storia e Quentin ha sempre amato giocare con realtà e fantasia.

E’ il 1969 siamo appunto a L.A., sono gli anni dei “fucking hippies”, e tra loro quelli della Manson Family che con i loro omicidi avrebbero sconvolto l’opinione pubblica americana. C’è il Vietnam, ma se ne accenna appena. E’ anche l’anno in cui Lennon registra Give Peace a Chance in un bed-in insieme a Timothy Leary, uno che conosceva bene le droghe psichedeliche. Ma tutto questo non c’è nel film. Nel nuovo Tarantino però c’è una sigaretta imbevuta nell’acido. Un macguffin, ma di questo ne parliamo dopo.

Leonardo DiCaprio e Brad Pitt

Tra realtà e fantasia, dicevamo, in effetti i protagonisti della vicenda sono un misto di personaggi inventati dal regista e alcuni realmente accaduti. Dalla penna di Quentin escono ad esempio Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) attore conosciuto per i suoi ruoli da cattivo e Cliff Booth (Brad Pitt) suo fraterno stunt. Rick è depresso per la sua carriera. Convinto infatti dal produttore Marvin Schwarz (Al Pacino) che le parti da villain a Hollywood, lo porteranno all’epilogo della sua carriera, l’attore parte per l’Italia a fare spaghetti western con un “certo” Sergio Corbucci (definito il secondo più bravo regista italiano in questo genere!). Ad ispirare la creazione del personaggio di Rick Dalton in realtà ci sono due attori in carne ed ossa: Ty Hardin (che con Corbucci ha lavorato veramente in Bersaglio mobile nel 1967) e Burt Reynolds (per il suo rapporto con lo stuntman Hal Needham).

Quentin Tarantino sul set con DiCaprio e Pitt

Di Caprio è, come sempre, fenomenale anche grazie alla sua parte (la più a fuoco del film). Pitt non è da meno, sornione, compassato, con quella faccia da schiaffi.

Poi c’è ovviamente la bellissima Margot Robbie, la prima ad essere ingaggiata dal regista. Lei interpreta Sharon Tate, attrice, icona, moglie di Roman Polański, tristemente nota per il massacro di Cielo Drive. Ma non aspettatevi un resoconto dei fatti, questo è un film di Tarantino non un documentario di Netflix.

Sharon Tate e Margot Robbie

C’è stata anche una polemica, lo sappiamo tutti. Secondo la stampa americana il personaggio di Margot, avrebbe poche, anzi pochissime battute nel film. Ed è vero! Il suo personaggio è silenzioso e affascinante e per certi versi ricorda Emilia Javal ne Il Disprezzo di Godard. A conferma di ciò, una ripresa del tutto identica a quella in cui la meravigliosa e iconica Brigitte Bardot, sdraiata sul letto, spalle scoperte, apre il celebre film del maestro francese.

Poi ci sono decine di altri personaggi che s’intrecciano tra di loro. Ad esempio una lolita provocante e un po’ stronza di nome Margaret Qualley (figlia di Andie MacDowell).

Margaret Qualley

Se poi parliamo di figlie d’arte ovviamente è impossibile non citare anche Maya Hawke (Stranger Things 3), figlia di Uma Thurman, musa indiscussa del regista, nella piccola parte di Linda Kasabian (colei che fece arrestare Manson).

Ma nel film di comparsate ce ne sono a bizzeffe! Emile Hirsch, Timothy Olyphant, Dakota Fanning, Bruce Dern, Kurt Russell, il compianto Luke Perry, Michael Madsen e tanti altri, alcuni tagliati dall’editing finale (Tim Roth). Quindi Zoë Bell, storica stunt di Uma. Il cinema nel cinema e nel cinema ancora!

La storia è superflua, il contenuto irrilevante, ma c’è tutto Tarantino in questo adorabile “pasticcio” dove si ride a crepa pelle e dove gli amanti del regista troveranno tutti gli stilemi dei suoi precedenti film.

Dialoghi serrati, citazionismo esasperato, feticismo per i piedi delle sue attrici, Bruce Lee, metacinematografia, sangue a fiotti e morti ammazzati nelle modalità più geni(t)ali.

Brad Pitt e Mike Moh nella parte di Bruce Lee

 

Poi c’è Los Angeles che Tarantino omaggia come Allen ha fatto, e continua a fare, con NY. Una L.A ricostruita senza ricorrere al digitale, ma solo grazie al lavoro pazzesco della scenografa Barbara Ling e ai 96 milioni di euro stanziati per questo film. Quello più caro e più redditizio nella carriera di Tarantino.

Ah dicevamo nel film c’è una sigaretta imbevuta nell’acido. Viene fumata da uno dei personaggi in uno dei momenti chiave della pellicola. Un classico MacGuffin hitchcockiano, apparentemente non ha alcun ruolo nella storia. Ma se invece fosse una chiave di lettura per il finale? Come l’oppio per “Noodles” De Niro in una altro più celebre Once Upon a Time in

Once upon a time in America – Robert De Niro

Resta solo una cosa da fare, andare (anzi ritornare al cinema), comprare un tanica di pop corn e gioire come Margot Robbie, con i piedi per aria.