C’è del marcio in Francia, con la strage di Ugonotti perpetrata dal diabolico cardinale Mazzarino, consigliere e reggente di Luigi XIV, ancora troppo giovane ed inesperto per regnare sul paese.
La madre del sovrano, la Regina Anna, decide quindi di giocarsi una carta disperata: richiamare alle armi i quattro leggendari moschettieri, ovvero Athos, Porthos, Aramis e D’Artagnan per cercare di risolvere la situazione.
Ma il tempo passa anche per le leggende, e D’Artagnan è ora un allevatore di maiali sciupafemmine ed acciaccato, Aramis un uomo di chiesa indebitato fino al collo, Porthos uno stanco reduce votato alle droghe fai da te e Athos un nobile circondato da amanti di entrambi i sessi.
Sono queste le premesse de I moschettieri del Re – la penultima missione, ultima fatica di Giovanni Veronesi che raduna alla sua corte – è proprio il caso di dirlo – un cast d’eccellenza per un’ avventura di cappa e spada che strizza l’occhio non solo all’indimenticabile Armata Brancaleone ma anche alle gag geniali del Trio Solenghi-Marchesini-Lopez.
I tre moschettieri chiamati a salvare la Francia sono oggi interpretati da Sergio Rubini, Valerio Mastandrea, Rocco Papaleo e Pierfrancesco Favino, quest’ultimo grande mattatore del film con quell’improbabile accento che per tutto il tempo creerà non poche difficoltà di comprensione a chi lo circonda.
Tutti pronti per servire la Regina Anna, una divertentissima Margherita Buy che, tra un bicchiere di vino e l’altro, è impegnata a tener testa a Mazzarino, al perfido figlio e ad un’ancella un po’ troppo vivace e sboccata.
Sebbene l’ambientazione sia la Francia del diciassettesimo secolo, ci si chiede immediatamente come sia possibile che i moschettieri parlino in dialetti assolutamente nostrani: eppure il tutto funziona sin da subito, vuoi per le esilaranti commistioni linguistiche che si vengono a creare, vuoi per il lavoro fatto da Favino, che da solo si porta in spalla quasi tutto il film.
Il finale è spiazzante eppure risolutivo e coerente – tornando anche al discorso dei dialetti, donando al film una chiave di lettura nuova.
L’unica perplessità risulta, in una trama abbastanza lineare e poco complessa, in un certo buco narrativo che salta all’occhio poco prima del finale, quando la storia vira da un punto all’altro senza grandi spiegazioni che non vengono comunque né offerte o richieste dai protagonisti.
Bravissimi anche tutti i comprimari, da Haber a Matilde Gioli a Giulia Bevilacqua, e geniali alcune scelte musicali come quella di accompagnare le entrate trionfali degli sgangherati moschettieri con Prisencolinensinainciusol di Celentano.