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L’APPELLO di Emilio Briguglio e Federico Rozas

Un giovanissimo studente è vittima di bullismo da parte di un terzetto di compagni di classe. La situazione peggiorerà sempre di più, nell’indifferenza o nell’incapacità di porre rimedio di preside e genitori. Il capo dei bulli non perseguiterà solamente il suo compagno di classe, ma anche una ragazzina, sua coetanea, rea di aver rifiutato una sua avance…

“L’appello” è un lungometraggio del 2009 di genere drammatico, che tratta lo scottante e attualissimo tema del bullismo in ambiente scolastico. Il film è stato girato quasi interamente a Padova da Emilio Briguglio e dall’argentino Federico Rozas. Succede, non troppo spesso, ma succede, che anche un umile recensore di film indipendenti italiani possa avere i suoi momenti di gioia cinefila e improvviso e felice spiazzamento vedendo una pellicola. Nella fattispecie una pellicola indipendente italiana, appunto. Chi scrive ha ricevuto negli ultimi giorni ben due “visioni gioiose” dal Dio del Cinema Italiano (se esiste): “Zooschool” di Andrea Tomaselli e “L’appello”. Tutte e due opere con il filo comune della scuola nelle sue molteplici declinazioni (e ossessioni).

Il film di Briguglio (anche produttore, e ottimo attore, nei panni del padre della vittima del bullo) e Rozas si avvale innanzitutto di un cast splendidamente in parte. In particolare, la scelta dei giovani attori che interpretano i bulli è assolutamente azzeccata. Ma tutto il cast funziona, anche nei ruoli secondari. La cosa paradossale è che quasi tutti sono attori non professionisti. Il budget, possiamo immaginare, era quello che era. Eppure “L’appello” non sfigura in ogni suo comparto tecnico,e si pone molto al di sopra della qualità artistica media di un normale indie italiano.

Spicca in questo senso la fotografia, morbida e calda in alcune sequenze, ma anche ruvida e livida in altre. Non mancano anche i virtuosismi registici, come nella splendida sequenza dei due giovani che attraversano la città in scooter al tramonto, che ricorda da vicino i film di Gregg Araki. Altra sequenza di notevole impatto è quella riguardante la giovane vittima, sola e seduta sul marciapiede ad aspettare il padre, mentre la macchina da presa di Briguglio si allontana gradualmente dalla figura del suo protagonista. Da questa sequenza esplode, nella sua interezza e drammaticità, la solitudine pneumatica che prova la vittima.

Il pezzo forte de “L’appello” rimane, indubbiamente, la sceneggiatura. Nelle drammatiche vicende dei giovani protagonisti si riflette il fallimento totale di chi dovrebbe educarli e formarli, cioè gli insegnanti e i genitori. Non solo: la sceneggiatura analizza in modo chirurgico ed impietoso un certo tipo di società del nord-est, basata sui “valori” quali l’accumulo spasmodico di denaro, il lavoro come unico motivo di vita e la sopraffazione dell’altro, del diverso, del più debole.

“L’appello”, una perla indipendente assolutamente da riscoprire e amare!