Sulla sua figura aleggia ancora un’ombra di mistero. L’eco della sua storia, della sua provenienza, e dei “poteri” che gli sono stati attribuiti è ancora viva dopo 200 anni e dalla storia si è arrivati al cinema.
Si racconta che questo ragazzo sia giunto a Norimberga nell’ 800’ da non si sa dove, e che fosse di animo buono e puro, non distinguesse la tridimensionalità e avesse poteri non meglio definiti.
Stiamo parlando di Kaspar Hauser, personaggio alquanto emblematico al centro dell’ultimo film di Davide Manuli, il regista dei non-luoghi.
Ed infatti è proprio in un non-luogo (sarebbe la Sardegna, ma questo nel film non è dato a sapere) che Kaspar Hauser viene ritrovato, lungo la riva del mare, dallo Sceriffo ,all’ occorrenza Pusher, Vincent Gallo.
Kaspar proviene da non si sa quale posto, forse dal mare che l’ha trasportato fino a riva, consegnandolo allo Sceriffo mezzo nudo e con il suo nome tatuato sul petto. E non sarà solo lo Sceriffo a mettere gli occhi su di lui, perchè nell’isola senza nome abbiamo anche la Duchessa, il Prete, la Veggente e il Drago. Tutti avranno delle mire sul giovane che invece sembra non lasciarsi nemmeno sfiorare dall’ambiente che lo circonda, assorto com’è nell’ascoltare musica, una musica che sembra arrivare dalle grandi cuffie che porta sempre con se ma che forse è solo nella sua testa.
Ha molte chiavi di lettura questo film di Manuli ispirato alla figura di questo giovane che imporvvisamente piombò a Norimberga a metà Ottocento. Il giovane Kaspar Hauser quando arriva in quest isola sconosciuta è un’anima incontaminata, che viene poi preso sotto l’ala protettrice dello Sceriffo, ma viene osservato e avvicinato dalle altre personalità poliedriche dell’isola.
Lui non ha pretese, non è un tipo complicato, vuole solo ballare, ascoltare la musica, e “diventare un cavaliere” ; mentre gli altri lo inquadrano in differenti maniere, un Re, un impostore, un pericolo, una benedizione. E ognuno si attende qualcosa da lui, vuole qualcosa. Potrebbe essere una contaminazione quindi, quella che la civiltà ha sulla natura, incarnata dal giovane Kaspar.
Anche il ribaltamento dei ruoli è un altro aspetto che salta all’ occhio in questo lungometraggio : è Kaspar a sembrare un tipo strano e particolare agli occhi del Sacerdote, della Duchessa, dello Sceriffo/Pusher, ma forse lui è l’unico ad essere normale, è lui quello che fa cose normali, e sono gli altri ad essere strani.
Kaspar sembra l’emblema della libertà : tutti gli parlano , tutti gli chiedono, tutti gli ordinano qualcosa, e lui se ne sbatte altamente di tutto e tutti, quello che fa è continuare a dimenarsi in balli scatenati sotto le musiche elettroniche dei Vitalic, colonna portante di tutto il lungometraggio.
E intorno ? Intorno non c’è nulla, il vuoto più assoluto. La scenografia è ridotta all’ osso, lenti movimenti di macchina, pochi stacchi, bianco e nero dal primo all’ ultimo minuto, pochi dialoghi tra i personaggi.
Non è semplice nè da vedere nè da capire il film di Manuli, richiede uno sforzo da parte di noi spettatori, e questo lo si evince già dalle prime scene, quelle in cui vediamo anche il passaggio di alcune astronavi. Un film surreale, difficile anche da collocare in qualche genere : se proprio vogliamo trovargliene uno potremmo definirlo un western di fantascienza. Ma questo lo si può vedere solo in alcuni piccoli elementi (come per esempio il vestito da cowboy dello sceriffo), perchè il suo succo poi è solo il festival del grottesco.
E’ così grottesco che nemmeno io so se consigliarvelo o no. Quindi intanto fate una cosa, guardatevelo.
Da menzionare comunque sono la grande interpretazione di chi da anima e corpo al giovane Kaspar, la mascolina Silvia Calderoni, e i grandi monologhi di Fabrizio Gifuni.