Disagio e orrore, inteso come spavento.
Sono questi i due sentimenti che un horror sviluppato anche in chiave psicologica dovrebbe suscitare nello spettatore.
Ed è tra questi due mondi che cerca un equilibrio il film Family Blood, diretto da l produttore Sonny Mallhi.
Orrore perchè siamo nel mondo vampiresco, quello della pura e semplice voglia e sete di sangue.
Disagio perchè a doverci spaventare è la protagonista della pellicola, Ennie (Vinessa Shaw), una donna che dopo il divorzio vive con i suoi due figli adolescenti cercando e di star vicino alla sua prole e di uscire dal giro dell’ alcolismo, percorso che affronta con fatica anche partecipando a serate in centri di recupero.
In una di queste serate Ennie conosce Christopher (James Ransone), che nasconde un segreto, contro il quale presto Ennie andrà a sbattere il muso (e non solo).
Ricetta di base buona per il film di Mallhi, quel mescolare la dipendenza dalle droghe con quella dal sangue, dipendenza di cui presto Ennie comincia a soffrire.
Il disagio personale di una donna che poi scivola in un abisso che il lato horror dovrebbe poi cullare e far culminare in un finale degno di nota.
Il problema di Family Blood però è che le due parti non si fondono bene assieme, non spingendo mai sull’acceleratore e quindi non portando a buoni risultati nè sulla parte drama, nè su quella horror.
Sangue e violenza sono più sussurrati che mostrati, e i problemi personali di Ennie sono affrontati e sviluppati con troppa superficialità e troppi silenzi, suoi e dei protagonisti della pellicola, il già citato Christopher ed i due figli della donna, Kyle (Colin Ford) ed Amy (Eloise Lushina).
Inquadrature troppo prolungate su protagonisti troppo statici, fanno di questo Family Blood un prodotto che nonostante il buon esordio di Mallhi con il suo Angoscia (2015) e l’aiuto di Netflix non riesce a raggiungere nemmeno lontanamente la sufficienza.