Un operaio specializzato giunge in treno a Helsinki per un nuovo lavoro. La notte in un parco mentre riposa su una panchina, viene aggredito da tre delinquenti (molto simili ai drughi kubrickiani).
Colpito più volte e violentemente, l’uomo viene dichiarato morto in ospedale per i traumi subiti. Ma pochi istanti dopo che i dottori hanno constatato il decesso, il povero operaio si alza e vaga per la città. Non ricorda nulla.
Ha perso completamente la memoria. Viene aiutato da una famiglia in miseria che vive in un container e dall’Esercito della Salvezza. Ora non resta che rifarsi una nuova vita, trovare un nuovo lavoro e magari un nuovo amore. Proprio quando le cose sembrano girare per il verso giusto, la sua vecchia vita torna a bussare alla porta.
Grand Prix Speciale della Giuria e Premio per la migliore interpretazione femminile (Kati Outinen) al Festival di Cannes del 2002, L’Uomo senza passato è il quattordicesimo film del regista finlandese Aki Kaurismäki. Solo il quarto negli ultimi 20 anni. Per molti la pellicola è il manifesto definitivo dell’autore di Orimattila. Per certi versi il film che più rappresenta in toto, stilemi, tratti distintivi formali e contenuti dell’universo grottesco del regista. L’Uomo senza passato è, a tutti gli effetti, una lezione di cinema e un manuale che raccoglie e semplifica il Kaurismäki touch.
Lo stile visivo è sempre desaturato, hopperiano e con quel vago torpore estetico pre-perestroika. I personaggi sono ancor più astenici (12 anni dopo la “sindrome” di Kira Muratova). Il messaggio arriva forte e chiaro. Perché “L’uomo senza passato” non è solo e non è il solo.
Il cinema di Aki Kaurismäki è un cinema socialista. Lo è sempre stato e sempre lo sarà. Eppure il regista finlandese non fa dei suo film pamphlet politici. Tutt’altro. L’ardore di pellicole come Mies vailla menneisyyttä è tutto nell’umanità dei suoi personaggi. Ci sono i cattivi certo, ma l’autore sembra perennemente proteso verso una visione ottimistica della nostra esistenza. Del nostro breve passaggio su questa terra fertile e grata. Un terra dalla quale può nascere anche solo una patata per una zuppa, che alla fine dividi in due col tuo vicino. Kaurismäki non rinuncia mai a mettere in risalto la solidarietà tra gli uomini e le donne. E non smetterà mai di credere neanche ai più alti valori morali dei singoli contro i grandi interessi economici. Le parentesi narrative come quella del rapinatore della banca sono poesie a sé. Ma è importante trovare la nostra vera identità, la natura che più ci rende unici e ci gratifica.
M, quest’uomo senza passato viveva una vita misera. Forse peggiore anche di quella nuova. Quella del dopo aver perso la memoria. Quella della baraccopoli, dei miseri e lerci container riciclati come abitazioni. Ma in questo film neorealista (l’autore non ha mai negato il suo amore per Rossellini, De Santis, Germi ma soprattutto De Sica) c’è la speranza e l’amore. Anche nella marginalità socioeconomica e nel degrado della miseria.