Home Rubriche Outsider L’immagine-musica: Lontano da Dio e dagli uomini di Šarūnas Bartas

L’immagine-musica: Lontano da Dio e dagli uomini di Šarūnas Bartas

Il rapporto tra musica ed immagine, nel cinema, ha sempre avuto un ruolo di estrema importanza, soprattutto nell’ambito del cinema sperimentale ed intellettuale. Chi si sia soffermato a riflettere, anche solo per una frazione di secondo, sul cinema da un punto di vista non solo storico-critico ma anche filosofico, certamente si è posto la questione della musica in relazione alle immagini. Il cinema tradizionale, quello a cui siamo abituati, sfrutta la musica come accompagnamento alle immagini, le colonne sonore extradiegetiche son sempre un contorno all’aspetto visivo; Oskar Fischinger, invece, nel 1937 ha usato l’immagine come supporto alla musica, nel suo capolavoro astratto An Optical Poem, nel quale la Rapsodia Ungherese n.2 di Liszt viene visualizzata da forme che si muovono sullo schermo: in questo caso, è la musica ad essere padrona assoluta del cortometraggio, poiché cambiando quella, tutto il film perderebbe di senso, mentre, nel cinema tradizionale, cambiare una musica della colonna sonora non apporterebbe una modifica sostanziale al contenuto del film: se, per esempio, nella scena della tortura de Le Iene di Quentin Tarantino ci fosse stata, al posto di Stuck in the Middle with You degli Stealers Wheel, Diogene di Sinope e la Scuola Cinica di Murubutu, la scena avrebbe avuto sì un impatto ben diverso ma il suo senso sarebbe rimasto invariato. E poi arriva silenzioso un regista baltico, lituano per la precisione, chiamato Šarūnas Bartas, che propone un’ulteriore alternativa al rapporto musica-immagine: in Lontano da Dio e dagli Uomini (il titolo internazionale è Few of Us: l’unica volta, forse, in cui l’adattamento del titolo italiano è più affascinante, seppur più didascalico, del titolo inglese).

La bellissima e silenziosa protagonista del film, in uno dei tanti primi piani.

Si tratta di un film senza dialoghi reali, senza una vera trama: è cinema allo stato puro, nel senso dell’etimologia greca, ovvero è puro movimento e ritratto del movimento. Senza alcun orpello narrativo, Bartas realizza un’opera nella quale è l’immagine, insieme con il suono, ad avere il ruolo centrale. L’ambiente è assoluto protagonista, un palcoscenico sul quale si muovono degli attori, i quali, però, non destano l’interesse del regista (e, di conseguenza, dello spettatore), che si focalizza sulla natura, sui luoghi e sui suoni. La “trama”, se così possiamo chiamarla, “racconta” di una donna che affronta un viaggio in Siberia. Punto. All’apparenza potrebbe sembrare un film estremamente noioso ed inutile e per buona parte del pubblico, probabilmente, è effettivamente così; tuttavia, la capacità di Šarūnas Bartas risiede proprio in questo: nel riuscire a tenere alta l’attenzione dello spettatore grazie ad immagini meravigliose e ad un’attenzione all’aspetto sonoro quasi maniacale. Il suono è, infatti, l’elemento più intrigante ed affascinante di Lontano da Dio e dagli Uomini, poiché, come detto, propone un’alternativa alla discussione circa il rapporto musica-immagini.

Il film abbonda di campi vuoti meravigliosi: la musica dell’ambiente.

Ispirandosi alla nomenclatura proposta da Gilles Deleuze nei suoi due saggi sul cinema, si potrebbe chiamare l’immagine di questo film immagine-musica. In ogni inquadratura, infatti, i suoni ambientali assumono un’importanza centrale, più che in qualunque altra pellicola: lo scorrere dell’acqua di un fiume, i passi dei personaggi, i guaiti di un cane, gli zoccoli dei cavalli,… tutto ciò che è vita, tutto ciò che è movimento produce, in Lontano da Dio e dagli Uomini, una linea melodica solipsista, che non cerca di accordarsi con le linee melodiche delle altre vite e degli altri movimenti alle quali si sovrappone. L’immagine di Šarūnas Bartas è, dunque, una polifonia disarmonica, il pulsare dell’esistenza all’interno delle inquadrature è egocentrico ed egoistico. Tranne che in un’unica occasione, nei primissimi minuti del film, non esiste alcuna traccia di colonna sonora extradiegetica. Perché non ve n’è bisogno, qualsiasi nota esterna all’universo filmico farebbe crollare la struttura stessa del film, che è profondamente naturale e qualsiasi forma musicale extradiegetica instillerebbe in questa opera essenzialmente fisica il germe (deleterio, in questo caso soltanto) della metafisica. Si tratta di una pellicola che si priva di qualsiasi forma d’astrazione ed ecco, dunque, spiegato anche il didascalico titolo italiano, “lontano da Dio e dagli uomini”, ovvero lontano dalla metafisica e dalla società, che è astrazione. La protagonista del film, che è, probabilmente, metafora filmica del regista stesso, è l’incarnazione dell’estremo egoismo, quasi sulla falsa riga del protagonista del primo grandissimo romanzo di Fëdor Dostoevskij, Memorie del sottosuolo.