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Il mistero del quarto piano (1999) – Recensione

Il mistero del quarto piano

Il mistero del quarto piano (The 4th Floor) è un thriller di Josh Klausner del 1999 che vede Juliette Lewis, regina indiscussa del titolo di bad girl anni ’90, nei panni della protagonista.

Il mistero del quarto piano
Una scena tratta da Il mistero del quarto piano (1999)

La bella e giovane Jane Emelin, dopo aver progettato di andare a vivere assieme al compagno, un famoso meteorologo (William Hurt), in una bella casa in campagna (quella di lui), cambia improvvisamente idea. La donna, col disappunto del compagno, si trasferisce nell’appartamento che precedentemente era appartenuto a sua zia Cecile, da poco deceduta. Purtroppo per lei qualche suo vicino si dimostrerà tutt’altro che lieto del suo arrivo. Jane comincerà, così, ad essere vittima di minacce, e testimone di eventi inquietanti.

Il mistero del quarto piano
Juliette Lewis è Jane Emelin in The 4th Floor.
Prendere una delle più grandi icone degli anni ’90 e piazzarla furbamente come protagonista in un thrillerino che si regge tutto sulle sue esili spalle: ecco come riassumere The 4th Floor. Almeno, questo è il succo del procedimento che sta alla base. Per fortuna la grande Juliette Lewis riesce nell’impresa, costellata da un cast buono ma anonimo, e dà inoltre pieno carattere al personaggio di Jane in un film in cui ogni reazione causa, paradossalmente, l’orticaria.
Klausner si applica – oltre a dirigere si occupa anche della sceneggiatura. Il mistero del quarto piano, partendo da uno spunto di partenza intuitivo, simpatico e promettente (da cui avrebbero potuto ricavare ben altra sostanza), si sviluppa tra numerosi, e palesi, omaggi al grande cinema. Inevitabile, in un contesto come quello del thriller domestico, far ritorno ai maestri Hitchcock e Polanski. Qui vi si ritrovano: la claustrofobia-ossessione condominiale, la minaccia incombente dei vicini, il mistero, la costruzione della suspense, il delirio psicologico e l’ambivalenza tra realtà-non realtà (con tanto di voyeur alla Rear Window). A Klausner va dato, inoltre, il merito di aver costruito delle sequenze di ‘culto’: per esempio, la sfida condominiale a colpi di stereo e calci sul pavimento e la trovata dell’appartamento stracolmo di polistirolo.
Il mistero del quarto piano
Una scena del film con una inquadratura tipicamente polanskiana.
Questi fattori positivi e interessanti non bastano, tuttavia, per sollevare e nobilitare a dovere un film registicamente spesso piatto, dalla fotografia televisiva e dall’intreccio prevedibile. Funziona molto, in tal senso, la sequenza finale in cui si smaschera il plot twist (soprattutto grazie a un’intuizione inaspettata, di regia), peccato che lo si capisca dai primi dieci minuti di visione.
Il film di Klausner, in conclusione, nonostante le ingenuità e le imperfezioni, non è di certo da condannare. Trattasi di un film piacevole che ben può inserirsi nel contesto di una serie TV come Masters of Horror. Complessivamente riuscito tutto il segmento all’interno del quarto piano (del tutto forzata e poco abbozzata, però, risulta la pista ”esoterica”).
Sprecatissima Shelley Duvall; efficace Tobin Bell, il Jigsaw della saga di Saw. William Hurt espressivo ed utile come un paio di guanti in piena estate.