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Il collezionista di carte (The Card Counter) – La recensione

Il collezionista di carte (The Card Counter) è una delle opere più intimamente schraderiane scritte e dirette da Paul Schrader.

La pellicola si inserisce nel filone che lo stesso autore ha più volte definito: “a man in a room” e che nasce con il suo più celebre lavoro di scrittore ossia Taxi Driver del 1976 e attraverso American Gigolò del 1980, Lo spacciatore del 1992, The Walker, del 2007, e First Reformed del 2017, arriva fino ad oggi.

A ridosso del cinquantesimo anno di attività creativa, l’autore è rimasto fedele a molti dei suoi stilemi, ma soprattutto ma non ha mai smesso di percorrere quel suo intimo viaggio tra i temi della colpa e redenzione, rimorsi, rimozioni, amoralità, frustrazione e ancora redenzione.

“Il passato è un fardello che non può essere rimosso”

Gli amori cinematografici di sempre e il suo celebre saggio “Il trascendente nel cinema. Ozu, Bresson, Dreyer” che si può considerare l’imprintig genomico del suo cinema.

 

Tanto che anche il questa sua ultima fatica s’intravedono le ombre di Diario Di Un Ladro (1959) di Robert Bresson, in cui borseggiare o raisare all in, sono in fondo solo due mestieri come tanti altri. In entrambi si avvertono intime sofferenze, religiosità ed esistenzialismi dostoevskijani. Vita tra Guerra e Pace. La prima Schrader la mostra in un disturbante fisheye/flashback che ripercorre i ricordi che perseguitano William Tell (Oscar Isaac), un ex carceriere di Abu Ghraib finito in prigione per otto anni per aver consapevolmente violato i diritti umani. La pace in The Card Counter è invece la nuova vita, asettica, matematica, come un lenzuolo per rivestire la stanza di un motel, o come un breve ma preciso calcolo delle probabilità, per vincere una mano. E’ una pax augustea autoimposta da da William in attesa della remissione dei peccati che si materializzano nella figura del maggiore John Gordo (Willem Dafoe). Nel frattempo l’ex soldato cerca di raddrizzare la vita di una giovane pecorella smarrita (Tye Sheridan).

Il cinema di Schrader è ancora una volta rigorosamente liturgico, teatrale, ossessivo ed implosivo nel mettere in scena la feroce bestialità umana, non senza qualche ammiccamento politico.

Tutto il cast è eccezionale, con una menzione speciale per la sorprendente Tiffany Haddish nel ruolo moralmente ambiguo de La Linda che tanto ricorda la Ann di Susan Sarandon nel già citato Light Sleeper.

Le luci ipnotiche di Atlantic City ricordano quelle della NY di Taxi Driver, così come aleggia nell’aria, l’ineluttabile, che sceglie sempre la sua via, ma contro il quale, per definizione, non ci si può opporre.

Capolavoro.