Home Rubriche Outsider Honey Boy: piccolo gioiello sulla folle vita di Shia LaBeouf

Honey Boy: piccolo gioiello sulla folle vita di Shia LaBeouf

Honey Boy è un film scritto da Shia LaBeouf, recitato da Shia LaBeouf, su Shia LaBeouf.

Shia è un attore talentuoso che ha avuto successo grazie a delle mastodontiche produzioni hollywoodiane. Ma Shia è anche quel tipo strano che ha girato Charlie Countryman deve morire strafatto di acidi e Fury con Brad Pitt senza lavarsi, per meglio immedesimarsi nella parte. Shia è quello che per ottenere un ruolo in Nymphomaniac di Lars Von Trier ha mandato ai produttori del film, video e foto del suo pene.

Shia è uno che crede in questo mestiere e nel suo talento, ma è anche un ribelle autolesionista.

La storia di Honey Boy è divisa in due assi temporali e ci parla di Otis Lort che poi facendo gli anagrammi è uscito fuori “lot riots” e sarebbe bello poterlo chiedere proprio a lui.

Otis è Shia da piccolo (Noah Jupe) e da grande (Lucas Hedges).

12enne, giovane attore Otis deve vedersela col padre (Shia LaBeouf), un pazzo hippy che va conciato come se fosse David Foster Wallace e gli fa da cattivo maestro e manager. La storia s’intreccia con Otis diventato giovane uomo e celebrità, che entra ed esce dalla prigione e dopo tanti eccessi e abusi finisce in riabilitazione.

Otis è in balia di forze conflittuali che lo fanno essere un clown triste a causa degli abusi psicologici di un padre passivo aggressivo.

“- Sai chiudere una porta delicatamente? – Si, con una mano tiro e con l’altra spingo” risponde Otis.

Ed è proprio durante uno di questi forzati rehab che Shia deve fare i conti coi fantasmi del suo passato. E’ costretto a mettere per iscritto le emozioni e i ricordi di quando era un piccolo enfant prodige. Un ragazzino cresciuto troppo in fretta tra un set e l’altro. Questo diario è diventato in poco tempo una sceneggiatura che Shia ha scritto insieme alla sua amica Alma Har’el (Bong Joon-ho l’ha inserita nella sua lista dei 20 cineasti del futuro). La regista israeliana, autrice di video clip per band come i Beirut, Fanfarlo e i Sigur Rós, attinge principalmente dal circuito indie statunitense. In particolare Andrea Arnold (regista britannica autrice American Honey nel quale ha lavorato Shia) e Sean Baker (Tangerine, The Florida Project)

“La sola cosa che ho ricevuto da mio padre che abbia un minimo di valore è la sofferenza e ora lei vorrebbe togliermela?”

Quando trasformi le tue debolezze, i tuoi ricordi, i traumi nella tua forza di attore, diventa difficile rinunciarci e doverla estirpare. Per Shia/Otis questo però è una “condicio sine qua non”.

Decidendo di interpretare il ruolo del padre, Shia crea una sorta di corto circuito metacinematografico, col quale perdona il suo vecchio, gli dice che è stato “uno stronzo figlio di puttana” ma al contempo che gli vorrà sempre bene.

Perché è suo padre e non perché sia stato un buon padre. In un finale catartico Shia/Otis trova finalmente pace, non senza pagarne le conseguenze: “Un seme deve distruggersi completamente per poter diventare un fiore”. Questa volta, in un (immaginario?) viaggio di ritorno in moto, è il padre ad appoggiare la testa sulla spalla del figlio.

Sui titoli di coda risuonano le parole di Dylan: “Non ho intenzione di competere con te, batterti o fregarti o bistrattarti, semplificarti, classificarti, respingerti, sfidarti o crocifiggerti. Tutto ciò che voglio è esserti amico.”