Nell’immaginaria isola irlandese di Inisherin, tutto sembra fermo.
La Guerra civile irlandese è lontana e a stento si avvertono le esplosioni. Nulla è cambiato nel tempo, tranne la lunga amicizia tra il violinista Colm e l’umile mandriano Pádraic. Il primo, forse perché più anziano, sente l’avvicinarsi dell’ineluttabile e decide così di dedicarsi anima e corpo alla musica, nella speranza, seppur remota, di lasciare qualcosa di immortale ai posteri. A farne le spese il suo amico di sempre Pádraic. Colm infatti non ha più tempo per la sua vacuità, per i suoi interminabili e noiosi discorsi sul nulla. I ripetuti sforzi di Pádraic, di rinnovare il rapporto con l’ex amico, non fanno che peggiorare la situazione, che in breve prende una deriva grottesca e violenta.
Dopo la sfavillante trasferta a Ebbing, Missouri, il teatro dell’assurdo di Martin McDonagh non smette di stupire.
Il regista ritrova la sua Irlanda (anche se in realtà è londinese) e soprattutto l’affiatata coppia Colin Farrell e Brendan Gleeson, che aveva portato in scena nel lontano 2008, In Bruges, opera prima dell’autore britannico. Nonostante questa filmografia, The Banshees of Inisherin (in italiano Gli spiriti dell’isola) è probabilmente la sua opera più compiuta e necessaria.
Il film è pervaso da un laconico e grottesco minimalismo beckettiano, in cui tutti i personaggi aspettano Godot, ma in attesa si consolano con un pinta di stout.
Martin McDonagh riflette sulla natura autodistruttiva dell’uomo, che poi in fondo è l’unica cosa che hanno in comune tra Colm e Pádraic. Una fiaba grottesca sospesa tra la tradizione folkloristica irlandese e esistenzialismo kaurismäkiano.
Spicca la fotografia crepuscolare di Ben Davis (Guardiani della Galassia, Avengers: Age of Ultron, Doctor Strange e Captain Marvel, ma anche tanti film). Ottima la prova dell’ormai rodata coppia Gleeson/Farrell, anche se trovano abilmente spazio Kerry Condon (Better Call Saul) e l’ex enfant prodige Barry Keoghan.