Cosa rende ciò che siamo? Basta cambiare il nostro aspetto per essere un’altra persona? La maschera è una delle metafore filosofiche più importanti del dibattito intellettuale novecentesco. Basti pensare al nostrano Pirandello e alla sua produzione letteraria, simile nelle tematiche a questo The Face of Another di Hiroshi Teshigahara. Realizzato nel 1966, tratto da un romanzo di Abe Kobo, è un film attualissimo ancora oggi che mette in scena la crisi esistenziale che caratterizza il genere umano post-Seconda Guerra Mondiale. Un genere umano che non sa più chi sia, che cerca di trovare una propria identità avvicinandosi sempre di più, però, ad una spersonalizzazione che lo svuota a poco a poco. Indossiamo una maschera per nascondere la nostra essenza, forse perché ne siamo spaventati o forse perché vogliamo essere accettati dalle altre maschere che abitano la Terra, per una integrazione sociale. Ma ne vale veramente la pena?
Okuyama, in seguito ad un incidente sul lavoro che gli ha deturpato il volto e che lo ha costretto ad indossare delle bende su tutto il viso, entra in una crisi che influenzerà la sua vita sociale e anche il suo rapporto con la moglie, nessuno ha più il coraggio di guardarlo in volto, tutti lo evitano. Decide, così, di contattare uno psichiatra e gli chiede di creare una maschera creata basandosi sul volto di un altro, in modo da ottenere una nuova identità. Parallelamente alla sua storia, che è la principale del film e quella che occupa la maggior parte della pellicola, seguiamo anche quella di una ragazza bellissima ma dal volto parzialmente sfigurato dagli effetti della bomba atomica: chiunque provi a “rimorchiarla”, appena vede il lato del viso rovinato, si spaventa e la allontana. L’unico uomo in grado di farla sentire bella è il fratello, con il quale ha un rapporto incestuoso.
La regia di Teshigahara in questo film è glaciale e cruda: numerosissimi long-takes e piani sequenza, una fotografia gelida, suoni ambientali quasi mai udibili che sottolineano la solitudine dei due protagonisti del film. La camera del regista si muove nei modi più disparati e si colloca spesso in luoghi insoliti, regalando immagini stupende che si imprimono perennemente nella mente dello spettatore. Altra grandissima qualità di Teshigahara è quella di saper gestire alla perfezione gli specchi, elemento importantissimo nella trama del film. Molto frequente è, infatti, il ricorso allo specchio, che duplica la realtà, perforando lo spazio e, talvolta, illudendo lo spettatore. In una scena, lo psichiatra e la sua assistente stanno lavorando alla maschera per Okuyama e vengono ripresi di spalle, con un piano totale. Ad un certo punto, la donna si allontana dal tavolo di lavoro per fare un caffè. Ed è allora che l’illusione si infrange, scopriamo che tutta questa scena è stata girata allo specchio e vediamo la preoccupazione sul volto della donna, una volta entrata fisicamente in campo.
L’atmosfera surreale ed asfissiante che si respira durante la visione del film è paragonabile a quella di Eraserhead, grazie anche alla colonna sonora curata da Toru Takemitsu, a tratti minimale e a tratti ampi volteggi di walzer. The Face of Another è un film a tratti surreale e capace di far riflettere sulla propria condizione di essere umano. Cosa ci rende ciò che siamo? Forse Pirandello aveva ragione, quando illustrava la sua teoria in “Uno, nessuno, centomila”. Però, Kobo e Teshigahara muovono un ulteriore passo in avanti, analizzando quella che potremmo definire come “maschera sociale”. Il film sembra voler suggerire che giocare con le maschere è un rischio mortale: quando si indossa la propria maschera, non si può più toglierla, senza spiacevoli conseguenze. Basti vedere i finali delle due storie: Okuyama, il cui vero scopo era quello di sedurre segretamente la moglie, riesce a portarla a letto, scoprendo che lei era già a conoscenza della maschera; la ragazza, dopo aver fatto l’amore con il fratello, lo abbandona. Cosa succede dopo di ciò, lascio che lo scopriate da voi.
Ti sei abituato alla maschera o è la maschera ad essersi abituata a te?