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Decision To Leave (2022) – La Recensione

Cosa non è Decision to Leave.

Il nuovo film del regista sudcoreano Park Chan-wook, non è solo un’azzimata destrutturazione di una classica detective story. L’autore usa i codici del noir classico, con eleganza e totale consapevolezza, per traghettare la sua opera verso lontane frontiere moderniste e avanguardiste.

Il regista della trilogia della vendetta: Mr. Vendetta (2002), Old Boy (2003) e Lady Vendetta (2005), ha iniziato a fare film grazie all’infatuazione per Vertigo di Hitchcock e sia lodato il cielo. In Decision to Leave questo debito tecnico, narrativo, si sente tantissimo, ma solo come elemento crittografico per arrivare alla sua idea di cinema.

Potremmo ad esempio citare Double Indemnity di Wilder, perché Decision to Leave in fondo è così vicino e al contempo così lontano dall’hard-boiler statunitense di Raymond Chandler o appunto di James M. Cain.

A questi codici narrativi ed estetici che leghiamo indissolubilmente ad un certo cinema noir e neo noir (Memories of Murder di Bong Joon-ho), l’autore aggiunge il suo distintivo touch.

I suoi stilemi, i suoi virtuosismi l’inconfondibile firma del cinema parkiano che regala lezioni di regia con dualismi prospettici, chiaroscuri, split screen diegetici.

Specchi, finestre, vetri, monitor (da fare invidia anche a un De Palma d’annata) che raddoppiano immagini e le silhouette psicologiche dei personaggi, in particolar modo di una femme fatale ambigua che ossessiona il protagonista del film, il regista e infine anche lo spettatore.

La storia è quella di Hae-Jun (Park Hae-il), un detective che di Busan in Corea del Sud, che sta indagando sulla morte di un uomo caduto accidentalmente da una rupe durante una scalata. Nel corso delle indagini, il detective interroga Seo-rae (Tan Wei), la misteriosa moglie cinese della vittima, che per una serie di ragioni e comportamenti anomali, diventa la principale indiziata della morte del marito. Ma Hae-Jun, felicemente sposato, inizia a sviluppare un forte legame con la donna che in breve diventa un’attrazione morbosa potenzialmente molto pericolosa per le indagini e per la sua vita personale.

Non è la prima volta che assistiamo alla modernizzazione del classico, ad un aggiornamento del sistema operativo del cinema.

Ma poche volte siamo riusciti ad assistere a una tale cristallina dimostrazione di talento, visione, abduzione, sospensione dell’incredulità, rêverie, abbandono al fantastico.

Il tutto senza mai essere distolti neanche quando Park Chan-wook decide di giocarsi la carta del grottesco, del weird o della slapstick. Niente di tutto ciò si era visto nella sua geniale filmografia, non nelle sue prime prove come Gongdonggyeongbigu-yeok JSA, e tantomeno nelle sue ultime come Stoker o Mademoiselle.

Forse è un punto di arrivo, forse un punto di partenza, certo è tutto così spaventosamente elettrizzante.