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Everything Everywhere All at Once (2022) – La Recensione

Nel racconto di Italo Calvino “Tutto in un punto“ (adattato per la televisione italiana nel 1979 all’interno della miniserie Racconti di fantascienza), scritto nel 1964 e inserito ne “Le cosmicomiche”, si narra della vita prima del Big Bang, dell’espansione dell’Universo, quando vivevamo tutti in un punto. Uno dei personaggi, la signora Ph(i)Nko a un certo punto dice: “Ragazzi, avessi un po’ di spazio, come mi piacerebbe farvi le tagliatelle!”.

Un gesto d’amore, ma che necessita di spazio, ma proprio in quel momento, il punto, che conteneva tutti, s’espanse.

Everything Everywhere All at Once, opera seconda di Daniel Kwan e Daniel Scheinert, sotto lo pseudonimo di Daniels. (dopo Swiss Army Man del 2016) narra la storia di Evelyn (Michelle Yeoh) un’immigrata cinese trapiantata negli Usa che oltre a gestire la sua lavanderia a gettoni, deve salvare il suo matrimonio con Waymond (Ke Huy Quan) e il rapporto con la figlia Joy (Stephanie Hsu).

Nel bel mezzo di una vita di comune disagio, Evelyn scopre di essere solo una versione di sé all’interno di una complessa e strutturatissima rete di universi paralleli. Ognuna di queste diverse Evelyn è nata da un gesto, da una scelta, come ad esempio fare le tagliatelle!. Ogni differente Evelyn, per navigatio vitae, ha con sé un bagaglio di conoscenze e capacità, ai quali la donna potrà attingere per salvare tutti gli universi possibili. Per far ciò sono necessari dei salti multidimensionali, detti verse-jump, possibili solo attraverso un gesto statisticamente improbabile che permette ai protagonisti di diventare esperti di arti marziali, attingere a esistenze e universi in cui anche un marsupio può essere un’arma mortale. Come quando viene uploadato il jiu jitsu o il kung fu a Neo in Matrix.

Ma le sorelle Wachowski, sono solo uno dei tanti rimandi metacinematografici in questo incredibile e bizzarro calderone che è Everything Everywhere All at Once.

Michel Gondry (Eternal Sunshine e La Science des rêves), Wong Kar-Wai (In the Mood for Love), Stanley Kubrick (2001: Odissea nello spazio) ad esempio. La presenza di Ke Huy Quan che praticamente torna a recitare dai tempi di Short in Indiana Jones e Data ne I Goonies. Ma anche James Hong e le atmosfere di Grosso Guaio a Chinatown, senza considerare la stessa Jamie Lee Curtis, tutti riferimenti a John Carpenter. Ratatouille neanche a dirlo. Lulu Wang (The Farewell – Una bugia buona ) o forse ancor prima Ang Lee (Mangiare bere uomo donna). Omaggi, citazioni del cinema che ha nutrito i Daniels.

Ma la chiave di tutto è Michelle Yeoh.

“La famiglia di mio padre viene da Hong Kong e si è trasferita a New York quando lui aveva cinque o sei anni; è cresciuto guardando i film di Hong Kong e poi li ha mostrati a me” ha ricordato Kwan. “Così sono cresciuto guardando Jackie Chan, Jet Li, Michelle Yeoh, Stephen Chow. Il primo film che ho visto con lei è stato SuperCop. Ricordo di aver pensato: ‘Wow, esiste una versione femminile di Jackie Chan’.”

Tutta questa memoria involontaria, proustiana, nei confronti del cinema anni 80’s e l’amore dei due registi adolescenti, viene ripagato dall’interpretazione di Michelle Yeoh, capace di calarsi in ogni singolo registro emozionale della sua Evelyn. Capace di essere tutte in uno.

Everything Everywhere All at Once è allegoria delle possibilità proliferanti dell’esistenza umana, della diversità, dell’accettazione di essa (propria e altrui).

 

La potenza dell’amore o di un gesto d’amore, che travalica gli universi possibili e che alla fine, può anche generarli, come le tagliatelle della signora Ph(i)Nko.

Insomma un gesto, per quanto apparentemente piccolo, può cambiare il mondo.

Ci sarebbero anche tante considerazioni tecniche sulla pellicola dei Daniels, come ad esempio l’editing pirotecnico di Paul Rogers o l’inquietante ost dei Son Lux, la virtuosa fotografia di Larkin Seiple .

Per alcuni Everything Everywhere All at Once è un film sopravvalutato, verboso, un’allucinazione collettiva. Per altri è un instacult di cui parleremo a lungo, personalmente “l’unica cosa che so è che dobbiamo essere gentili, soprattutto quando non sappiamo cosa sta succedendo”.