L’animazione degli anni Settanta ha iniziato a esplorare territori lontani da quel mondo fiabesco e fanciullesco che la aveva resa quell’arte tanto amata che era e che tutt’oggi è. Si è iniziato ad analizzare situazioni ed argomenti molto più maturi, spesso con immagini violente o erotiche. Molti sono gli esempi che si possono fare: uno su tutti, Il Pianeta Selvaggio di René Laloux, del 1972. E anche Belladonna of Sadness, un film che non ha avuto molta fortuna in Occidente, se non in anni recenti. L’erotismo è lo strumento che Eiichi Yamamoto utilizza per ritrarre il male e la malvagità insiti nel genere umano.
Il film, ambientato nel Medioevo europeo, racconta di Jeanne, una bellissima ragazza che viene data in sposa a Jean. La prima notte di nozze, però, viene violentata e deflorata dal signore del castello. Distrutta da quanto accaduto, Jeanne decide di farsi vendetta, coadiuvata dal diavolo, che la rende un oggetto sessuale e portatrice di male e dolore. Il proprio erotismo e la propria disinibizione sono le armi che la bellissima ragazza sfrutterà per portare il terrore nel proprio villaggio. Tutti la odiano, compreso Jean, che l’ha ripudiata, salvo poi ripensarci e cercare di salvarla, nel tragico finale.
L’essere umano è un animale malvagio, che ubbidisce solo al proprio istinto sessuale. Questo sembra voler dirci Eiichi Yamamoto, con un film d’animazione nel quale l’animazione è ridotta ai minimi termini. I disegni si sviluppano spesso lungo carrellate, non animati, riprendendo la tradizione degli emakimono, i tipici rotoli giapponesi lungo i quali si sviluppano storie attraverso disegni e parole. Parole che, in questo film, vengono molto spesso affidate ad una voce narrante extradiegetica.
Le immagini veicolano alla perfezione l’effetto della “belladonna”, una pianta velenosa che provoca allucinazioni. La scena dello stupro è di una potenza disarmante, con la ragazza che quasi viene sventrata, rappresentando alla perfezione la crudezza dell’azione mostrata. Quando poi Jeanne decide di abbandonarsi al potere di Satana, le visioni surreali e allucinanti aumentano esponenzialmente. Talvolta, però, la follia delle immagini supera il limite tra disagio e ridicolo sul quale resta sempre in bilico, perdendo, di tanto in tanto, la potenza espressiva che, comunque, caratterizza la maggior parte della pellicola.
Il male nel film si palesa per mezzo dell’erotismo, il Diavolo si maschera da istinto e desiderio sessuale che semina solo dolore e malvagità. Dunque il sesso non viene ritratto come un atto piacevole e positivo ma diventa l’antitesi di sé stesso (come accadrà anche nel futuro della storia del cinema, con, per esempio, i film di Lars von Trier), generando un turbine di sensazioni negative che segnano i personaggi della pellicola ma anche lo spettatore.
Nonostante la sua breve durata, la visione di questo film non è delle più facili, poiché la narrazione si sviluppa piuttosto lentamente. Però le musiche, che si collocano a metà tra il jazz e il prog rock europeo e realizzate da Masahiko Satoh, aiutano il fluire della pellicola senza eccessiva difficoltà, poiché accompagnano le immagini molto elegantemente; non solo, ma incrementano anche la sensazione di disagio delle sequenze più stranianti perché le immagini forti e disturbanti sono commentate da canzoni estremamente orecchiabili (stratagemma spesso utilizzato nel cinema, si pensi alla sequenza dell’orecchio in Le Iene di Tarantino).
Belladonna of Sadness, in conclusione, non è assolutamente un film per tutti, collocandosi ben al di fuori degli standard dell’animazione d’intrattenimento. Resta, comunque, un film egregio, imprescindibile per chiunque voglia approfondire la propria conoscenza del cinema d’animazione orientale (e non solo).