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Una donna fantastica (2017)

Santiago del Cile.
Daniela, anzi Marina, come chiede instancabilmente di essere chiamata da tutti, è una giovane cameriera e aspirante cantante transessuale che ha una felice relazione con Orlando, imprenditore tessile che ha 20 anni più di lei.
La sera del compleanno della ragazza, Orlando ha un malore e Marina lo porta immediatamente al pronto soccorso, dove lui poco dopo muore.
La famiglia dell’uomo e in particolar modo la sua ex moglie invitano Marina, in maniera perentoria, a tenersi lontana dalle esequie, nel rispetto del dolore della sua vera famiglia. Nessuno di loro sospetta però la vera natura del rapporto tra Orlando e Marina e il profondo legame che li univa.

Il regista cileno Sebastián Lelio, per questa sua quinta pellicola fresca vincitrice del Premio Oscar come Miglior Film Straniero, continua il percorso già tracciato dal precedente Gloria (2013), rivolgendo tutte le sue attenzioni al complesso universo femminile.
Mettendo  in scena il dramma di una natural woman forte, capace di affrontare, dopo la perdita del suo amore, i giudizi morali di una società arretrata che la ghettizza.
O che ancor peggio la compatisce per la sua diversità.

Daniela Vega è Marina

Il regista sfodera una sobria eleganza tecnica, mimetizzando i suoi vezzi d’auteur e mettendoli al servizio della narrazione e soprattutto della splendida Daniela Vega, autentica rivelazione di questa pellicola, nonché prima persona transgender della storia a presentare un premio Oscar durante la cerimonia del 4 marzo 2018.
Altro importante dardo nella faretra del regista è sicuramente la produzione di Pablo Larraín, regista  icona del cinema cileno, autore di film come Tony Manero, No – I giorni dell’arcobaleno e il recente Jackie e la co-produttrice tedesca Maren Ade (Vi presento Toni Erdmann).
Il risultato è una pellicola che, salvo alcune cadute retoriche, parla con estrema sincerità allo spettatore.
Coinvolgendolo nel diramarsi della trama, come farebbe una vecchia zia che ci racconta una storia di famiglia.
Non una specifica, ma tutte quelle nelle quali ancora oggi si combattono certi pregiudizi.

Il film diventa così un’aspra critica alla moderna società.
Società ancora scevra di quella resilienza necessaria ad arginare i reflussi arcaici che impongono all’individuo e alla collettività, modus vivendi e scelte sessuali.
L’urgenza della definizione emotiva, sentimentale ed umana del personaggio di Marina, impatta con una società retrograda.
Società con un’idea fascista del concetto di famiglia che identifica acriticamente negli organi genitali l’identità sessuale di un essere umano e la sua più intima natura.
Proprio quella natura contro la quale si batte quotidianamente Marina.
Natura metaforicamente rappresentata nella scena in cui sfida con ogni muscolo del suo corpo, il vento contrario al suo cammino, ai suoi passi e alla sua più intima volontà.

Ma Una mujer fantástica non è solo un dramma sociale triste e malinconico, l’elegia di una causa attuale e ancora tutta da combattere.
Sebástian Lelio, in questo piccolo e imperfetto gioiello trova il tempo anche di farci sorridere proprio della diversità altrui e dei pareri reazionari dei benpensanti.

Perché come diceva Kurt Cobain: Voi ridete perché sono diverso, io rido perché siete tutti uguali.

 

Recensione a cura di Giuseppe Silipo