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Apologia di Jake Gyllenhaal – Demolition

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Ci troviamo davanti a un film abbastanza strano: e non parlo della trama, Demolition in fondo parla di un uomo che in seguito alla perdita della moglie rimette in discussione tutta la sua vita; è strano per un mood, un tono indecifrabile.

E’ difficile definirlo un difetto, dato che caratterizza la pellicola (e difficilmente sarebbe stato un film indimenticabile senza), ma resta il fatto che si passa dalla commedia nera al drammatico all’esistenziale senza soluzione di continuità; il tutto portato sulle spalle dell’attore protagonista.

Jake Gyllenhaal non è meno capace che in altri titoli, tutt’altro, confermando quanto sappiamo già in merito alla sua bravura; ma dietro all’intrigante premessa di un uomo che reagisce in modo quantomeno particolare a un lutto (modo che dà il titolo al film, e che si basa sul concetto esplicitato chiaramente dal protagonista secondo cui per riparare qualcosa devi smontarlo completamente)

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Demolition di una macchina, di un matrimonio, delle certezze apparenti di un uomo

c’è un film dai continui cambi di tono, dagli spunti quantomeno interessanti che vengono in parte annacquati da una indecisione di fondo. In tutto questo, Watts e Cooper sono comprimari capaci, ma non di aiutare Demolition in tal senso.

Del resto, questo resta un film Jake-centrico: il pubblico lo ama, e la regia lo sa. Forse troppo? A tratti, si rischia di vedere un modello gigioneggiare per le strade o con un martello in mano, anzichè il protagonista di una, pur surreale, storia.

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Il lavoro e la vecchiaia incombono, ma da quando ho memoria mi spacco di film di fantascienza, dove viaggio di testa fino a perdermi, e salto in piedi sul divano per dei tizi che si menano o sparano alla gente come fossero birilli. Addolorato dalla piaga del PG­13, non ho più i nervi per gli horror: quelli li lascio al collega, io sono il vostro uomo per scifi, azione e film di pistolotti metacinema/mental/cose di finali tripli.