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Crocevia della morte – Le origini dei fratelli Coen

“Ogni attimo della nostra esistenza è il punto d’incrocio di un’infinita molteplicità di concatenazioni causali.”

(Arthur Schnitzler)

Negli States ci sono tante strade quanto incroci, magari dove vendere l’anima al diavolo. Miller’s Crossing, in italiano “Crocevia della morte”, nell’immaginario coeniano, non è solo un luogo fisico dove venivano regolati i conti della malavita locale, ma il punto di redenzione. La catarsi finale di una dicotomia esistenziale lunga una vita. Perché ogni uomo è la strada che sceglie, tanto quanto le direzioni che prende. Ad ogni incrocio c’è poi un cappello che svolazza. Un “borsalino”, simbolo di un’eleganza d’antan. Metafora di un’etica magari solo apparente o forse andata perduta per sempre. Miller’s Crossing, è il terzo film dei fratelli Coen, un’opera manifesto, un omaggio alle atmosfere del Padrino di Coppola e ad un’America, crudele, spietata, grottesca ma anche coerente.

Ambientato nel 1929, la storia ruota intorno alla figura di Johnny Caspar (Jon Polito), boss napoletano della mala italoamericana, che contende agli irlandesi capeggiati da Leo (Albert Finney), il controllo della città.

Johnny offre al rivale pace ed amicizia, se smetterà di avallare e proteggere gli affari del bookmaker ebreo Bernie Bernbaum (John Turturro), che egli vuole morto. Leo però è combattuto poiché perdutamente innamorato di Verna, affezionatissima sorella di Bernie. Ma c’è anche Tom Reagan (Gabriel Byrne), braccio destro del capomafia irlandese, a sua volta innamorato di Verna. Poi la trama s’infittisce e diventa degna de Il grande sonno (The Big Sleep), capolavoro chandleriano del 1946 diretto da Howard Hawks. Film e regista, che i Coen hanno sempre dichiaratamente amato ed omaggiato. Come in una celebre scena de Il grande Lebowski.

Il Grande Lebowski (1998) Coen Bros e Il Grande Sonno (1946) Howard Hawks

Dunque un noir faticoso e complesso, ispirato ai romanzi di Dashiell Hammett (Piombo e sangue e La chiave di vetro).
Decine di personaggi che intrecciano le loro storie o che vengono presentati prima di apparire sullo schermo, rendendo ancor più complessa la trama. Personaggi, uomini e donne, ognuno con la propria dimensione e col proprio destino.

Ma Miller’s Crossing è un’opera magistrale che contrappone agli stilemi gangsteristici depalmiani, cinema ipercinetico e narrativamente lineare, un approccio sobrio e una struttura circolare.

Opera terza dopo Blood Simple – Sangue facile e Arizona Junior (Raising Arizona) che costò notti in bianco ai fratelli del Minnesota. Colti dal blocco dello scrittore, gli autori infatti, approfittarono della pausa, per scrivere di getto, quello che poi sarà il loro quarto film Barton Fink – È successo a Hollywood.

Non esiste materialmente un Miller’s Crossing, ma gran parte delle riprese sono state fatte in un angolo sperduto che risponde al nome di Tangipahoa, che nell’antica lingua dei Acolapissa, piccola tribù di nativi americani della zona, vuol dire “colui che falcia il grano”.

La Nera Mietitrice che accompagna nel trapasso le anime degli esseri umani, passando proprio da questo “crocevia della morte”.