Home recensioni biografico Bohemian Rhapsody – La recensione

Bohemian Rhapsody – La recensione

Qual è lo scopo di un biopic? Rendere omaggio ad un artista (o chi per lui) e ricondurre la sua vita personale ad un messaggio universale. Farlo con rispetto. Affrontare anche i temi più scomodi, i momenti meno sensazionalistici.

Mai ridurre la complessità della vita di una persona ad una figurina, ad una macchietta. Ne va del rispetto del protagonista della vicenda e/o della sua memoria, dell’amore incondizionato dei fan e della credibilità del progetto stesso.

Tutto era iniziato per il verso sbagliato quando otto anni prima del film, Brian May (chitarrista dei Queen) aveva annunciato un film sulla storica band e sul carismatico leader Freddie Mercury. Peter Morgan alla sceneggiatura e (sentite un po’ questa) Sacha Baron Cohen nelle parti di Freddie. I fan erano già in visibilio. Certo, preoccupati, ma entusiasti del progetto. Poi qualcosa va storto Sacha entra in conflitto con May e gli altri produttori. Vuole scavare più a fondo. Entrare nei dettagli più sordidi della vita esagerata di Mercury. La band invece vuole solo un colossale ed epico omaggio all’universo delle regine londinesi.

Quindi il progetto si arena per riprendere vita con Ben Whishaw come protagonista e Dexter Fletcher in cabina di regina. Ma vari impegni imprevisti fanno slittare nuovamente il film. Tutto fino al 2016 quando viene definitivamente annunciato che l’attore sarà Rami Malek (Mr.Robot) e nientepopodimeno che Bryan Singer (I soliti sospetti) dietro la mdp. Durante le riprese Singer viene però licenziato per ingiustificate assenze sul set e il film lo completa Fletcher. Insomma incomprensioni e disastri produttivi. Cosa ne poteva venire fuori?

Un disastro? Ci siamo molto vicini.

Bohemian Rhapsody ripercorre la storia dei Queen dalla celebre audizione di Farrokh Bulsara (prima che diventasse Freddie Mercury) in un parcheggio dopo un concerto e l’abbandono del precedente cantante, fino allo storico Live Aid del 1985. In mezzo l’amore di Freddie per la bella Mary Austin (Lucy Boynton), suggellata dalla canzone Love of My Life. Quindi i festini, la droga e il sesso. Lentamente e anche goffamente (parliamo della sceneggiatura) Mercury prende atto della sua sessualità. Quindi altre canzoni e passaggi didascalici e noiosi. Infine la malattia.

La regia stanca fa il suo compitino e gli attori, man mano che passa il film diventano sempre più pupazzi senza anima. Brian May (Gwilym Lee) chitarrista/astrofisico e il batterista/studente di medicina Roger Taylor (Ben Hardy), fino all’ultimo arrivato John Deacon (Joseph Mazzello), al basso, al quale spettano al massimo un paio di inutili battute.

Non c’è sforzo, non c’è anima, zero emozioni e la memoria di una delle più importanti voci del secolo va a farsi friggere.

Ci sarà almeno una ragione per vedere questo film?

Beh certo! L’interpretazione di Rami Malek è notevole. La sua aderenza fisica e le sue movenze sono certamente degne di nota. Pregevole anche il lavoro fatto in lip sync con cantante Marc Martel, “sosia vocale” di Mercury.

Divertente anche la scena in cui Mike Myers, nei panni di un dirigente della EMI, dice che nessuno mai ascolterà Bohemian Rhapsody, scuotendo la testa in macchina, ammiccando al celebre film Fusi di Testa, di cui lo stesso Myers era stato protagonista.

Infine l’ultimo quarto d’ora con il celebre concerto del Live Aid del 1985. Le loro complessità armoniche, la linearità melodica e l’immediatezza ritmica di brani come Radio Ga Ga, Under Pressure o We Will Rock You. Quindici minuti di sola musica. Ed allora la domanda sorge spontanea: se la cosa più bella di questo film sono le canzoni dei Queen, che senso ha questo goffo e modesto freak show?