“Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono.“
Malcolm X
Esiste una linea molto poco sottile che separa il mondo dei bianchi da quello degli afroamericani. Una bisettrice da non scollinare. Perennemente tesa ai buonismi disneyani da falsa e cordiale integrazione. L’America per Spike Lee non è mai stata così divisa. I rigurgiti trumpiani sono forti e non senza conseguenze.
Ma forse serviva proprio questa situazione socio politica per far ritrovare al regista di Atlanta le sue perdute muse. Dopo una discutibile serie di scelte artistiche, Spike è tornato alla grande e più in forma che mai. Perché diciamolo: BlacKkKlansman è uno dei suoi migliori film.
Un buddy cop movie esilarante, ma anche un film di denuncia. Un omaggio alla Blaxploitation, Sweet Sweetback’s Baadasssss Song e un giro funky di Isaac Hayes, tipo quelli per Shaft.
Ma BlacKkKlansman, Grand Prix Speciale della Giuria a Cannes, è soprattutto una storia vera di poliziotti infiltrati. Ciò che realmente accadde a Ron Stallworth, freakkettone afroamericano dalla chioma alla Angela Davis, la storica attivista del movimento dei diritti civili afroamericano. Spike non regala questa parte così importante ad un attore qualsiasi o ad un divo già affermato, ma si affida ad un ragazzino conosciuto sul set del celebre Malcom X, quando questi aveva poco più di 8 anni. Il suo nome è John David Washington e se ve lo state chiedendo, beh si è il figlio di Denzel, attore feticcio di Spike!
Ron è un infiltrato della polizia nella provincia americana degli anni ’70 a Colorado Springs per l’esattezza. Inizia con i movimenti territoriali delle Black Panthers, ma alla fine capisce che la sua missione è un altra e risponde ad una sigla, il KKK, acronimo di odio e del terrore razziale contro la comunità afroamericana. Prima Ron conquista la fiducia del vertice del Ku Klux Klan, grazie alla telefonate cordiali con lo storico leader suprematista bianco David Duke (interpretato da Topher Grace). Quindi, grazie al collega ebreo Flip Zimmerman (Adam Driver), si introduce direttamente in una cellula operativa. Qui il film diventa irresistibile: un nero e un ebreo che diventano membri del KKK e lo smascherano, lo irridono e infine lo denunciano.
Spike Lee è un ciclone. Intrattiene, punta il dito, si esalta e diverte come non mai. C’è tempo per tutto, anche un’impietosa arringa contro un pilastro della storia del cinema come La nascita di una nazione di David Wark Griffith del 1915, capolavoro seminale, ma da sempre nel mirino della comunità nera americana.
BlacKkKlansman regala inoltre alcune meravigliose chicche come le musiche del solito Terence Blanchard, ma anche il montaggio a dir poco geniale di Barry Alexander Brown, collaboratore di Lee sin dai tempi di School Daze (30 anni fa esatti). Ma anche il contributo non scontato di un monumento come Harry Belafonte e di Jordan Peele, produttore per Spike dopo il successo del suo esordio Scappa – Get Out-.
Insomma un’opera collettiva tutta afroamericana, dalla quale i bifolchi redneck razzisti e stupidi, ne escono male, anzi malissimo. Tutti i personaggi, dai vertici ai gregari del KKK, sono come delle buffe caricature, ma pur sempre pericolose.
Mai e poi mai da sottovalutare, soprattutto in tempi del genere, dove è facile confondersi con tutti questi inetti revisionisti storici. Distorsori della realtà, siano essi tycoon statunitensi o ex comunisti padani.
Il regista con una enfasi un filo commovente, ma necessaria chiosa e riavvolge il film con le immagini dell’attacco di James Alex Fields Jr, neo nazi 22enne a Charlottesville il 12 agosto dello scorso anno. Una tragedia nella quale perì Heather Heyer che stava partecipando al corteo anti razzista. Infine una bandiera americana capovolta che pian piano sbiadisce e diventa bianca e nera.
Colori di chi si odierà per sempre.