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Ad Astra – La Recensione

 

“Per aspera ad astra”.

 

Il maggiore Roy McBride (Brad Pitt), figlio del famoso astronauta Clifford McBride, viene reclutato dal Comando Spaziale Statunitense, SpaceCom, per una missione riservata. Da tempo ormai anomali e misteriosi picchi di energia provenienti da Nettuno sono diventati una minaccia per la Terra. Si pensa che possano essere stati causati dal “Progetto LIMA”, una missione partita anni prima e data per dispersa, a capo della quale c’era il padre di Roy. Il sospetto è che Clifford sia ancora vivo e che stia volontariamente causando queste pericolose instabilità.

Dopo la trilogia neonoir (Little Odessa, The Yards e I Padroni della notte) il regista e scrittore James Gray ha dimostrato, con i successivi film, di essere interessato soprattutto alle dinamiche fra personaggi, in particolare declinate all’interno dell’ambiente familiare.

Nei titoli di coda, Gray ringrazia Tracy K. Smith, poetessa vincitrice del Pulitzer per la sua raccolta del 2011 Life on Mars, un’elegia a suo padre, che lavorò al telescopio Hubble e morì nel 2008. Una delle poesie del libro si intitola “My God, It’s Full of Stars”.

«Attraverso le asperità sino alle stelle».

Come nel precedente Civiltà Perduta, l’esploratore Percy Fawcett veniva rapito dall’ossessione di antica città perduta in Amazzonia, fino a scomparire assieme al figlio, in Ad Astra Roy si misura con l’infinità dello spazio.

James Gray esamina la grandezza del nostro universo e il nostro posto infinitesimale al suo interno. L’autore inverte il viaggio di Roy, dall’infinito alla terra, scoprendo che non esiste vita intelligente al di fuori dell’umanità. Le persone della terra, i nostri affetti più cari sono tutto ciò che abbiamo. “Noi siamo ciò che abbiamo”.

Per far ciò Gray ruba, rende omaggio, raccoglie l’eredità del cinema che ama. Tarkovskij, Malick e neanche a dirlo Kubrick (l’estetica, il primate assassino e via dicendo). Ci sono poi ammiccamenti al cinema di genere più recente come Interstellar, con cui Gray condivide il maestoso lavoro del direttore della fotografia Hoyte van Hoytema. Anche alcune casualità come ad esempio l’uso similare della bella Liv Tyler in Armageddon.

Ma soprattutto Gray emula Coppola, nel suo manifesto Apocalypse Now col quale condivide tra le tante cose, un finale in cui è impossibile non associare Clifford McBride a Walter E. Kurtz.

Ed ecco che Ad Astra diventa il personale Cuore di tenebra di James Gray, come da intenzioni.

Colpevoli entrambi di insensato “orrore”, McBride e Kurtz padri di una nazione e di un futuro intrinsecamente autodistruttivo. Uomini intossicati dalle ambizioni, ossessionati, impazziti ed incapaci di giudicare il fine ultimo delle loro stesse azioni.

Roy no. Roy torna sui suoi passi, dai suoi affetti, sulla terra. Non ha alcuna certezza del suo futuro, di certo: “I will live and love.”