Home Rubriche Outsider Vengo – Il demone dimenticato di Tony Gatlif

Vengo – Il demone dimenticato di Tony Gatlif

“La musica gitana va fuori dalle righe, è pieno di note sbagliate, gli strumenti sono messi insieme con qualsiasi oggetto da cui si possa ricavare un suono”. Una musica che grida la paura ed il dolore di un popolo che ha l’anima ferita.

Già nel 1993 il regista francese Michel Dahmani, in arte Tony Gatlif aveva firmato il film documentario Latcho Drom, viaggio del popolo rom dall’India fino alla Spagna. Parallelamente l’autore ha evidenziato la relativa evoluzione musicale dai tipici suoni gitani fino al flamenco. Gatlif, classe ’48, nato da padre cabilo (algerino) e da madre di etnia rom, ha impostato tutta la sua carriera alla riscoperta della cultura gitana.

La sua filmografia si è sempre mossa parallelamente a quella di un altro chanteur della cultura gipsy, il più noto Emir Kusturica.

 

Nel 2000 con Vengo – Demone flamenco, Gatlif filma uno delle sue pellicole più rappresentative. Il film, sceneggiato insieme a David Trueba (La vita è facile ad occhi chiusi), è ambientato nell’Andalusia rurale e contemporanea. Il protagonista si chiama Caco ed è un esponente di una potente famiglia gitana. L’uomo è in lutto per la figlia, Pepa, presumibilmente vittima della vendetta. A differenza di molti altri membri, Caco è non-violento e un uomo romantico che sembra essere più interessato a bere e a ballare che ad altro. Suo malgrado Caco viene coinvolto della sanguinosa faida con la famiglia Caravaca. Il sangue di vendetta infatti non è stato placato ed è stato preso di mira il giovane Diego, nipote di Caco e portatore di un forte handicap fisico.

L’amore quasi paterno tra i due sembra essere per il regista una scusa per catapultarci in 90 minuti di danze e chitarre. Il tutto a suon di flamenco. Il film urla lo straziante dolore e al contempo la voglia di felicità dei protagonisti della vicenda. Il finale è tragico. Il corpo morente sugli ingranaggi sonori di un auto, resta una sequenza/siguiriya capolavoro del cinema europeo che mentre si apprestava a scavallare il secolo, guardava nel contempo alle sue origini. Questo forse diventa il cuore esegetico della pellicola di Gatlif. Esiste infatti una arcaica e profonda interconnessione tra il linguaggio intimo e privato tra i vari “palo” (generi) del flamenco e lo spiritualismo della musica Sufi. Il sufismo e la dimensione mistica dell’Islam sono strettamente connessi alle origini musicali del Vecchio Continente, tanto quanto la sua cultura profondamente mediterranea.

Tra gli ospiti musicali di questo “gipsy social club” troviamo Tomatito, celebre chitarrista flamenco ed erede di Paco de Lucía. Per rimarcare poi il fraterno (e attuale) abbraccio mediterraneo tra i due continenti, c’è anche il compianto Cheikh Ahmad Al-Tûni, munshids egiziano, figura carismatica e complessa ma soprattutto grande portavoce della tradizione musicale araba.

Una pellicola molto sottovalutata da riscoprire per il suo magnetismo visivo e sonoro, che non si vedeva dai tempi della Carmen Story di Carlos Saura.