C’è qualcosa di potente ed estremamente evocativo nelle immagini create da Emma Dante che si può esplicitare nell’ intensità del primissimo piano con cui vediamo il personaggio di Maria (Simona Malato) divorare avidamente un vassoio di pasticcini, al termine di una cena emotivamente piuttosto complessa.
La regista siciliana, dopo aver portato nei teatri italiani l’omonima pièce, decide di tornare al cinema sette anni dopo il successo di Via Castellana Bandiera, scegliendo una storia familiare che parla di amore, sofferenza, di chi se ne va, di chi resta e chi resiste.
Sono le immagini a dare il senso dello scorrere del tempo, ad evocare un passato e un futuro incerto, con la macchina da presa che indugia su corpi animati e inanimati, su frammenti di vita e scorci che si modificano e mutano, così come mutano le persone nei loro capelli bianchi e rughe che segnano il viso.
Lia, Maria, Pinuccia, Katia e Antonella ci vengono mostrate in tre fasi della vita: l’infanzia, l’età adulta e la vecchiaia, con tre salti temporali il cui trait d’union sarà la tragedia che aleggerà nei cuori e nelle menti delle sorelle.
Poi c’è la casa, ulteriore protagonista con la sua carta da parati consunta, i mobili, i cassetti che rivelano ricordi e frammenti di un tempo passato.
Un appartamento all’ultimo piano che si collega alla piccionaia, a centinaia di colombi che volano via per poi tornare, ostinati e riconoscenti come le donne del film.
Le sorelle Macaluso è un film d’impatto che gioca sul non detto, sulle immagini, sottraendo fino al minimale eppure allo stesso tempo potentissimo, chiaro, lineare.
È un piatto del servizio buono che si rompe, cocci rimessi in sesto ma con un frammento che sarà per sempre mancante.
È un bottone ricucito con cura, è una scarpa lucidata, il verso di una poesia letto avidamente.
È il tutù di Maria, è la piccola Antonella che rimane eterna bambina e osserva la sorella maggiore truccarsi, decantandone la bellezza e intrappolata nei ricordi delle altre quattro, tra accuse e rimpianti, fino alla vecchiaia e al lento consumarsi di esistenze, tra malattie e lo scorrere del tempo.
E lo spettatore assiste, quasi spiando, da un buco scavato muro aperto per gioco, la vita e l’esistenza di queste ragazzine, poi donne, poi anziane, con empatia e affetto.
Fino ad una casa vuota e un volo di colombi, che forse non torneranno più.