Avrà fatto forse storcere il naso a non pochi la vittoria di IDA agli Academy Awards 2015 come miglior film straniero.
Ma sicuramente in molti altri saranno entusiasti di questa affermazione.
Ed effettivamente di motivi ce ne sono.
Il primo: il film di Paweł Pawlikowski agli European Film Awards 2015 ha trionfato in un quintetto che vedeva presenti la pellicola più Nymph()maniaca del 2014 e quella più lunga (196 minuti) de Il Regno d’Inverno di Ceylan.
Secondo motivo : agli Academy Ida ha battuto il suo diretto concorrente Leviathan, il film del russo Andrej Petrovič Zvjagincev .
E poi c’è stata l’intelligenza del regista.
Che sapendo di avere un contenuto buono, ma non eccelso, lo ha condito con una forma particolare.
In ogni piccolo dettaglio.
Ha creato un film europeo d’autore, prendendo delle semplici regole e alcune le ha messe insieme in maniera egregia ed altre le ha completamente rivoluzionate.
Ma facciamo un passo indietro.
Plot.
Anna (Agata Trzebuchowska), è una giovane ragazza così innocente così sensuale, che potrebbe avere facilmente ai suoi piedi steli di uomini, ed invece è in procinto di…..prendere i voti.
Perchè si, è una novizia in attesa di maritarsi con Nostro Signore.
Ma le tentazioni sono sempre dietro l’angolo e la madre superiora, in prossimità del grande giorno, la manda per qualche settimana a far visita all’unica parente che sembra esserle rimasta, la procace e disinibita zia Wanda (Agata Kulesza).
Due donne, due modi completamente diversi di approcciare la vita.
Anna è schiva, taciturna.
Sembra non conoscere il mondo, almeno quello fuori dal convento, e crede fermamente in Dio e nella vita consacrata.
Wanda è una donna single, che sfoga appena può i suoi istinti sessuali.
E’ stata partigiana contro i nazisti.
Ed ora è un giudice nella Polonia occupata dai comunisti.
Una Polonia occupata da tutti, ma mai nelle mani dei suoi abitanti natii.
E allora comincia un viaggio, di due strane e poco miscelabili compagne di avventura.
L’una chiusa.
L’altra aperta.
Forse troppo, che oltre a far scoprire ad entrambe un po’ del mondo dell’altra serve maggiormente ad Anna per capire bene quanto forte sia la sua vocazione, e soprattutto poter far luce su una rivelazione abbastanza scioccante che la zia le fa sul suo passato, e sulla sua famiglia.
E’ quindi un on the road molto pacato e dal ritmo molto lento questo IDA di Pawlikowski che seppur può smuovere qualche sbadiglio (ed il sottoscritto ne ha avuti molti durante la visione) si rivela essere un film comunque azzeccato nelle scelte.
Innanzi tutto il bianco e nero.
La ragazza è timida, introversa.
Il bianco e nero è fondamentale se si vuole dare un seguito a questa sua castità.
La colonna sonora è inesistente, ma i pezzi jazz che troviamo nel film sono incredibilmente belli.
E guarda caso sono quelli che accompagnano la ragazza nel suo percorso per capire quale strada prendere.
Voti o non voti ?
La sua bellezza quando si toglie il velo è a tratti disarmante, seppur nella sua semplicità, e l’attrice Agata Trzebuchowska questo ce lo comunica bene.
E poi un’altra scelta non convenzionale.
Le inquadrature completamente rivoluzionate.
Fateci caso e provate a contare le volte in cui i personaggi sembrano essere di troppo in qualche scena dove il vero obiettivo ripreso dalla macchina sembra essere lo sfondo o il soffitto.
Con le teste dei personaggi che occupano solo una piccolissima porzione tra l’altro non centrale dell’ inquadratura.
In questa ricerca del suo passato insieme alla zia, che poi letteralmente abbandonerà il campo per lasciarle completare il suo percorso in solitaria, Anna entra nel mondo reale, quello di una Polonia devastata prima dalla guerra e poi dall’invasione comunista, e alla vigilia di un 68’ che anche per quel paese significò molto.
Alla fine, la vediamo sempre nel suo stesso modo di essere, ma più consapevole.
Come nelle scene finali.
Scene in cui quegli e poi sul suo possibile futuro alternativo al noviziato sembrano in realtà degli interrogativi che la ragazza porge a noi spettatori.
Prima di prendere una decisione finale.
Ed andare verso quello che lei crede essere il suo destino.
Sebbene non sia stato molto preso dalla visione del film, che in più punti mi ha visto “serrare” finestre, palpebre e chi più ne ha più ne metta (più per il ritmo lento che per la qualità effettiva della pellicola), il prodotto di Pawlikowski merita comunque la sufficienza e la visione da parte degli amanti del cinema d’autore e non solo.
Il ritmo è molto lento e bisogna essere preparati a questo.
Non è la storia che ci appassiona in quanto il regista non ha puntato sui fatti da raccontare ma sul come mescolarli uno dopo l’altro, con espedienti tecnici più o meno convenzionali. Sicuramente la statuetta è finita in buone mani.
Ma soggettivamente il cuore del sottoscritto batteva, e batte ancora per quel film che trovate nella nostra rubrica Oustider di un giovanissimo regista canadese.
Che racconta di un altro giovane.
Molto più problematico, ma dal grande cuore e dall’ancor più grande determinazione.
Che agli Oscar non c’era.