Le poche certezze sembrano scivolare via in questo terzo episodio di True Detective, mentre Hayes dovrà fare i conti con il ripresentarsi del passato, con le menzogne che inutilmente aveva cercato di seppelire e dimenticare.
Ci eravamo lasciati con un detective Hayes totalmente immerso nelle indagini: il giovane Will Purcell trovato morto e sua sorella Julie scomparsa. Un enigmatico e inquietante messaggio inviato dal rapitore, due bambole sul luogo del delitto, questi erano gli unici indizi in mano alla coppia di investigatori. Ora la situazione sembra complicarsi ulteriormente. Nel 1980, dopo l’ennesimo sopralluogo a casa Purcell vengono trovati nuovi indizi che aprono altre piste. Dei bigliettini con messaggi sentimentali spingono Hayes a parlare ancora con i compagni di classe delle vittime. Si scopre che i due bambini non avevano molti amici e spesso mentivano ai genitori, uscendo di pomeriggio non si sa dove, non si sa con chi.
Nuove indagini, nuove ricerche. Come nei precedenti episodi è Hayes che, grazie al suo passato da esploratore nell’esercito, riesce, immerso nei silenziosi boschi dell’altopiano, a trovare indizi trascurati tra pietre aguzze e letti di foglie. Prima scova dei dadi provenienti da qualche gioco di ruolo, quindi una chiazza di sangue su una roccia, infine un borsone pieno di giocattoli. Un contadino conferma di aver visto spesso i due ragazzi giocare nella zona. Sostiene inoltre che con loro vi erano un uomo di colore e una donna bianca, che giravano su una berlina marrone.
Tra i locali la tensione si taglia con il coltello. Il povero spazzino, inizialmente sospettato dell’omicidio, subisce un’aggressione da parte dei padri di famiglia del paese. Nativo americano, solitario veterano del Vietnam, è la vittima perfetta per lo sfogo delle frustrazioni e delle paure di tutta la comunità. Assistiamo parallelamente allo svilupparsi della relazione tra Hayes e Amelia Reardon. Due caratteri diametralmente opposti, una ex Black Panther e un ex militare, una amante dell’arte e della poesia, l’altro cacciatore dallo sguardo di pietra.
Però, come spesso accade, gli opposti finiscono per attrarsi.
Infatti, nel 1990, la coppia, ormai sposata e con due figli, cerca indizi riguardo alle impronte di Julie Purcell rinvenute in una farmacia. Sembrano affiatati e innamorati, ma già iniziano a intravedersi le prime crepe nel rapporto. Amelia è sempre più presa dal suo libro riguardante il caso e trascura la famiglia. Hayes invece, che sembra sconvolto dalla riapertura delle indagini, soffoca la tensione nell’alcool. Paranoico e iperprotettivo, finisce per riversare il suo nervosismo sulla figlia che aveva perso un attimo di vista.
Poco alla volta comincia ad emergere il lato debole del nostro protagonista, che pian piano prenderà il sopravvento e sgretolerà l’immagine granitica e impassibile che il detective vuole dare di se stesso. Un lungo processo che culmina nel 2015, quando assistiamo ad un Hayes letteralmente vittima dei suoi stessi fantasmi. Dopo essersi risvegliato in pigiama nella via dove abitavano i Purcell, come se inconsciamente volesse ritornare ove la maledizione della sua vita era iniziata, decide, nonostante l’avanzare della demenza senile, di continuare con l’intervista sul caso.
Ma quando l’intervistatrice Elisa Montgomery lo incalza con domande a proposito di presunte piste tralasciate, riguardanti appunto una berlina marrone vista da numerosi testimoni, Hayes sembra vacillare, rimane impietrito. Preso dai rimorsi, frustrato dalla memoria fallace che oramai lo accompagna, una volta a casa assiste all’apparizione dei fantasmi della moglie e della figlia da bambina: dopo anni i sensi di colpa tornano a chiedere il conto. E anche noi spettatori iniziamo a dubitare, a pensare che non tutto sia andato come il nostro Hayes voglia farci credere.
Cosa è successo realmente nel 1980? Cosa sa Hayes riguardo alla berlina marrone?
Infine torniamo al 1990. Per la prima volta troviamo West in questa linea temporale. Divenuto tenente, è stato messo a capo della nuova squadra sul caso Purcell. Dopo aver fatto visita al padre delle vittime, che è riuscito a superare il trauma ritrovando la fede in Dio, si reca da Hayes per chiedergli di aiutarlo nelle indagini. I due si rincontrano a distanza di anni, uno ha fatto carriera, l’altro è sparito nel dimenticatoio e relegato a lavoro d’ufficio. Hayes, leggermente riluttante, accetta l’offerta.
La terza puntata di True Detective, invece di darci qualche delucidazione, finisce per caricarci di ulteriori dubbi e domande. Perché Hayes è stato degradato? Forse i due detective hanno scoperto cose troppo grandi anche per loro? Cosa stanno nascondendo?
Ed è qui che si trova il problema principale per noi spettatori.
Abbiamo avuto infatti la conferma che non possiamo fidarci nemmeno della parola di Hayes e West, ovvero di chi dovrebbe guidarci in questa indagine sempre più complessa. Grazie all’ingarbugliato intreccio narrativo, al susseguirsi di blocchi provenienti da momenti temporali differenti che si mescolano, si confondono tra loro, ognuno con il suo pezzetto di verità e, di conseguenza anche di menzogna. Ogni scena è intrisa di puro relativismo. Pizzolato dimostra ancora una volta di saper sorprendere il suo pubblico, minando le poche certezze all’interno del caso e privando di qualsiasi autorevolezza le parole dei detective, cioè di chi la verità dovrebbe difenderla sopra ogni cosa. Dietro ogni parola si può nascondere la bugia, dietro ogni sguardo un inganno.
Interessante inoltre seguire l’evoluzione di Hayes, che oramai sembra prestare il fianco in più di un’occasione, man mano che si scoprono gli altarini. E così il suo portamento composto, il suo atteggiamento da duro, sono solo un goffo tentativo di proteggersi dalla verità che torna a galla, di nascondere le reali emozioni, che tuttavia finiscono per esplodere nei momenti d’ira sempre più frequenti.
Staremo a vedere come si evolverà questa stagione di True Detective, con la certezza comunque che ormai nulla può esser dato per scontato.
Articolo a cura di Alberto Viganò