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TORINO 34


I Figli Della Notte racconta  un mondo che vuole plasmare l’elite del società futura: i grandi, intesi come i genitori non si vedono mai e nell’unico momento in cui sono fisicamente presenti non vengono inquadrati, ne udiamo solo la voce. Qui si consuma la scena dove Giulio viene lasciato dalla madre in esclusivo college alpino, destinato a fortificare l’intelletto e lo spirito degli eredi dell’alta borghesia.
Dal profilo degli allievi che la compongono e dagli adulti incaricati della loro formazione I Figli Della Notte svela quasi immediatamente la natura della propria visione, l’esordio al lungometraggio di Andrea De Sica è attentissimo e misurato nel creare uno scenario che possa sostenere intrecci narrativi e dinamiche di un ambientazione che sembra celare misteri.

Sta proprio qui il limite di una sceneggiatura eccessivamente scrupolosa nel curare il contesto, privandola di autenticità.
C’è da chiedersi chi siano poi questi figli della notte perché la ricerca di una propria libertà non può ridursi soltanto a delle fughe notturne, forse agevolate dalla stessa direzione del collegio come programma del loro ambiguo fine nei confronti degli studenti, verso una baita montana adibita a night club.
Inoltre è la resa dei vari caratteri a non convincere, al di là di un scontato rito d’iniziazione perpetrato dagli studenti più grandi verso i nuovi arrivati, se pur privilegiati dovrebbero essere delle figure controverse, complicate, difficili da gestire: invece dal modo in cui parlano sembrano usciti da sceneggiati alla piccolo Lord finendo per essere impalpabili.
L’austero direttore del college poi è talmente impostato da risultare persino estraneo rispetto all’atmosfera di suspense e timore che il ruolo vorrebbe tramettere.

Non aiuta in tutto ciò una recitazione ingessata, bloccata come la neve che rende aspra i tentativi di evasione dei ragazzi, figlia di un approccio canonico, mancante di una naturalità e di una plausibilità che sia altro rispetto a toni cupi, una musica macabra incapaci di creare un’unione tra storia e atmosfere.
Un debutto in cui il coraggio è probabilmente la mancanza più grande di un film che poteva fare e dire tutto con meno auto confini.

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Redattore

- Il cinema per me è come un goal alla Del Piero, qualcosa che ti entra dentro all'improvviso e che ti coinvolge totalmente. È una passione divorante, un amore che non conosce fine, sempre da esplorare. Lo respiro tutto o quasi: dai film commerciali a quelli definiti banalmente autoriali, impegnati, indipendenti. Mi distinguo per una marcata inclinazione al dramma, colpa del Bruce Wayne in me da sempre. Qualche gargamella italiano un tempo disse che di cultura non si mangia, la mia missione è smentire questi sciacalli, nel frattempo mi cibo attraverso il cinema, zucchero dolce e amaro dell'esistenza -