L’inizio del XXI secolo sarà materia di approfondimento e studio per gli storici americani.
Gli States sono passati dal trauma collettivo degli attacchi alle Torri Gemelle, attraverso le discusse guerre in Afghanistan e Iraq, all’elezione del primo un presidente afroamericano, fino al fanatismo reazionario di Donald Trump. Incarnazione della più buia anima capitalista e guerrafondaia made in USA. 20 anni che hanno dato linfa vitale al filone del film-inchiesta che si era un po’ perso dal lontano 1976, anno del capolavoro di Pakula: Tutti gli uomini del presidente.
20 anni in cui sono stati girati film come Fair Game, The Post, Il Caso Spotlight, Panama Papers.
Proprio quest’ultimo diretto da Steven Soderbergh e scritto da Scott Z. Burns, qui nelle vesti di regista. Burns nasce come collaboratore di Soderbergh per il quale oltre a The Laundromat, ha scritto anche The Informant!, Contagion ed Effetti Collaterali.
In questo The Report, uscito direct to video sulla piattaforma Amazon Prime, Scott Z. Burns sacrifica gli spettacolarismi hollywoodiani per concentrarsi sulla storia e sulla stretta aderenza ai fatti. Parliamo di un lasso di tempo che ha inizio proprio all’indomani del fatidico 11 settembre per arrivare alla fine di questo ventennio. Nel dicembre 2014 la senatrice democratica Dianne Feinstein (Annette Bening) rende note le conclusioni di una commissione volta a indagare l’uso della tortura sui prigionieri sospetti di terrorismo nei vari black sites americani, inclusi quelli di Guantanamo e Abu Ghraib.
L’inchiesta era stata affidata ad uno zelante membro del suo staff Daniel Jones, che insieme a pochi altri collaboratori, misero al vaglio circa 2 milioni di documenti per redigere questo sconvolgente report.
Parliamo di una pila di 7.600 pagine di rapporto, condensate in poco più di cinquecento per essere rese note al pubblico. Un documento che in realtà si chiamava The Torture Report con la parola chiave e disumana, censurata in primis dalla Cia e poi salendo di grado fino ai due presidenti degli Stati Uniti d’America, Bush e Obama.
Scott Z. Burns non ci parla dell’aspetto umano dei protagonisti della vicenda e a differenza di molti altri film simili, evita il cliché di un portrait umano, fatto di mogliettine incazzate perché il marito lavora troppo e rinuncia a cresce i figli per dovere all’Agenzia e alla Nazione. Niente di questo appare nella pellicola che si svolge tra i corridoi angusti della sede di Langley in Virginia. Nessuna concessioni ai romanticismi hollywoodiani, ma soprattutto alla semplicistica e patriottica versione dei fatti raccontata dai media.
The Report ironizza anche sul celebre film Zero Dark Thirty del Premio Oscar Kathryn Bigelow.
Burns contesta che il waterboarding e simili tecniche abbiano di fatto portato alla cattura di Osama Bin Laden e/o altri risultati di intelligence a favore della causa americana. Per chi non lo sapesse il waterboarding è una forma di tortura consistente nell’immobilizzare un individuo in modo che i piedi si trovino più in alto della testa, versandogli quindi acqua sulla faccia. Ma non è il solo, nel film vengono evidenziati altri disumane tecniche di tortura che portavano spesso alla morte, poi dimostratesi inutili e disumane.
Il film mette al centro del palcoscenico un bravissimo Adam Driver, capace di dare anima ad un personaggio appunto privo di spessore emotivo.
Insieme a lui troviamo anche un’immensa Annette Bening, in un ruolo sfuggente e ambiguo. Giusto anche citare tutta una serie di ottimi comprimari come: Michael C. Hall (Dexter), Corey Stoll (Café Society, First Man), Maura Tierney (E.R., Beautiful Boy), Tim Blake Nelson (La ballata di Buster Scruggs), Jon Hamm (Mad Men) e Jennifer Morrison (How I Met Your Mother) e tanti altri.
The Report è un film necessario, engagé ma imparziale, figlio di una mano ferma e rigorosa.
Un opera sobria senza concessioni narrative ed orpelli stilistici. Quasi una mortificazione corporale che ha come unico fine la denuncia di una delle pagine più buie della democrazia americana.
Nelle didascalie finali The Report afferma che gli autori di queste atrocità non solo non sono stati puniti ma hanno avuto addirittura promozioni ed elogi pubblici e uno di loro è diventato direttore della CIA. Riferimento, neanche tanto velato, all’attuale vertice dell’agenzia Gina Haspel, che nonostante sia stata definita “un vero criminale di guerra” dall’American Civil Liberties Union, è, per volere di Donald Trump, direttrice dell’agenzia di spionaggio civile più famosa al mondo.