Home Rubriche Outsider Tatjana: on the road “disperazione” Tallinn

Tatjana: on the road “disperazione” Tallinn

Valto (Mato Valtonen), che fa il sarto di professione, dopo aver rinchiuso la madre in uno sgabuzzino, esce per andare a procurarsi del caffè, bevanda per la quale ha una forte dipendenza. Insieme all’amico meccanico Reino (Matti Pellonpää) installano nella vecchia auto un macinino per avere caffè fresco anche in viaggio. Così il film diventa un on the road la cui prima tappa è l’incontro con due ragazze, una russa (Kirsi Tykkyläinen) e l’altra estone (Kati Outinen), che devono arrivare a Helsinki, dove dovranno imbarcarsi per Tallin.

A metà degli anni ’90 Kaurismäki è ormai noto al grande pubblico e alla critica internazionale.

Il regista finlandese ha già realizzato pellicole come Leningrad Cowboys Go America (1989), La fiammiferaia (Tulitikkutehtaan tyttö, 1990), Ho affittato un killer (I Hired a Contract Killer, 1990), Vita da bohème (La vie de bohème, 1992). Il suo cinema unico, raffinato, algido si è raffinato tanto da definire pellicole o inquadrature come kaurismakiane. L’approccio dell’autore finlandese è caratterizzato da un forte realismo nichilista, socialismo umano e un’umorismo scandinavo situazionista. Black Humour che sembra procedere di pari passo con quello giapponese di Kitano.

Anche in questo Tatjana (Pidä huivista kiinni, Tatjana) del 1994, film minore e più simile ad un mediometraggio che ad un lungo, vista la contenuta durata, i personaggi sembrano essere gli stessi. Bizzarri uomini e donne in balia della loro solitudine esistenziale che si cacciano in situazioni grottesche. L’unica loro salvezza sta nella “forza sbilenca dell’ironia” del suo autore (citando Paolo Sorrentino).

Esteticamente il regista rimane sempre fedele ad un stile visivo è desaturato, hopperiano (ad esaltare la drammaticità della solitudine).

Il torpore pre-perestroika qui viene accentuato dal taglio fotografico e dal b/n.

Ricorre un tema costante nella cinematografia del regista: l’amore. Un sentimento gravitazionale che spinge all’unione soprattutto tra i drop out, tra gli ultimi della fila, quelli messi da parte dall’alienazione socioeconomica dei paesi scandinavi.

Riecheggia ovviamente e come sempre il cinema di De Sica e di Bresson, in un’opera meno compiuta ma rappresentativa di Kaurismäki.

Chiudiamo con le considerazioni sempre preziose di Fabio Ferzetti, nel ‘Il Messaggero’, dell’8 maggio 1995: “bianco e nero sapiente, smargiassate fra uomini, tempi morti, sentimenti non detti, e una colonna sonora che mixa i Renegades e la Patetica di Cajkovskij. Non siamo di quelli che delirano per Kaurismaki, ma stavolta la sua Finlandia di frontiera popolata di bambinoni scorbutici e catatonici, codardi e brutali, colpisce al cuore.”