Finalmente, una produzione Netflix italiana. Era ora. Vero? Suburra. Molti ne hanno parlato come il “Gomorra romano”. Cominciamo con lo sfatare un mito: non è assolutamente vero. Il nucleo delle due storie è estremamente differente: mentre Gomorra è una storia ruota attorno (quasi) esclusivamente alle gang della Camorra, Suburra ha un sottotesto molto più politico, che vede coinvolti il Vaticano, il consiglio comunale di Roma e due fazioni malavitose, ovvero la famiglia Adami e gli zingari. Roma il teatro, i personaggi che si muovono sul suo palco sono le marionette e “Samurai” il marionettista.
Fulcro della trama di questa serie sono dei terreni di Ostia, una parte dei quali è detenuta dal Vaticano e un’altra dalla famiglia Adami, finiti nelle mire della Mafia siciliana che vuole costruire un porto da sfruttare per traffici illeciti. La storia è difficilmente sintetizzabile in poche parole e presenta numerosi personaggi che operano a diversi livelli della società romana: dai malavitosi Samurai (Francesco Acquaroli), che tiene le redini di tutti gli affari illegali nella Capitale, Aureliano Adami (Alessandro Borghi), testa calda della famiglia Adami, Spadino (Giacomo Ferrara), appartenente al clan degli zingari, oppresso dal fratello Manfredi (Adamo Dionisi) e ben presto socio in affari di Aureliano, e Gabriele (Eduardo Valdarnini), figlio di un poliziotto che, a causa di un debito con Samurai, si unirà ai due malviventi summenzionati; al politico Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro), un uomo con degli ideali solidi che lo fanno amare dal popolo ma che si lascerà corrompere dal solito Samurai quando capisce che la sua carriera sta giungendo al capolinea; a Sara Monaschi (Claudia Gerini), revisore dei conti del Vaticano che interviene nell’affare dei territori di Ostia per cercare di farli acquisire al marito, proprietario di una ditta edile.
Insomma, i personaggi sono davvero tanti e tutti caratterizzati piuttosto bene, ognuno di loro ha un proprio background che gli permette di essere molto più profondo di qualunque altro personaggio di buona parte dei prodotti televisivi italiani. Il vero problema, un problema gigantesco, è l’interpretazione degli attori. Eccezion fatta per pochi casi (in particolare per Alessandro Borghi e Francesco Acquaroli), la recitazione è scadente e, a tratti, scandalosa. Una Gerini che sembra abbia dimenticato come si reciti è il gradino più basso di Suburra. Priva di qualsiasi espressività sia visiva che vocale, la sua interpretazione rende il personaggio della Monaschi il più piatto della serie, mentre avrebbe potuto essere uno dei più affascinanti grazie alla sua personalità molto contorta. Tuttavia, lei non è l’unica a recitare in modo scadente: la lista, che non possiamo riportare per intero poiché sarebbe troppo lunga, comprende anche Filippo Nigro ed Eduardo Valdarnini, che sembrano limitarsi a ripetere le battute attribuite ai rispettivi personaggi, senza entrare in sintonia con Amedeo e Gabriele. Non riescono ad appassionarci alle loro vicende (almeno questa è la sensazione di chi sta scrivendo) e, anzi, spesso sentirli parlare è piuttosto irritante a causa del piattume delle loro interpretazioni.
Tralasciando gli aspetti recitativi, Suburra è una serie che funziona a fasi alterne. Nelle fasi dedicate agli aspetti politici della trama, zoppica. Anzi, nemmeno. In quelle fasi non riesce proprio a camminare. È macchinosa, inutilmente verbosa e senza reali colpi di scena a causa della sua estrema prevedibilità (e dell’imbarazzante interpretazione dei suoi attori). Le fasi dedicate alla rivalità tra gli Adami e gli zingari, invece, sono leggermente più riuscite, poiché è piuttosto debitrici al capolavoro dei prodotti televisivi italiani, Gomorra (pur restando le due serie molto diverse). Tuttavia, ai vari Aureliano, Spadino, Gabriele e gli altri manca il fascino di cui godono Ciro, Genny, Pietro e tutti i personaggi della serie di Sky Atlantic.
Anche l’aspetto puramente tecnico è spesso e volentieri scadente, soprattutto nei due episodi incipitari, quelli diretti da Michele Placido, che sono un vero e proprio disastro di regia, fotografia e montaggio. Il lavoro di Placido è al limite dell’amatoriale, con solo una piccola manciata di momenti che godono di una fotografia quantomeno decente. I restanti otto episodi sono nettamente migliori dei primi due ma, tutto sommato, risultano appena sufficienti. Guardiamo per un solo istante ad una serie Netflix estera e poi guardiamo Suburra: la differenza stilistica è abissale e, di certo, non pende in favore della serie nostrana. La regia, la fotografia, il montaggio di Suburra sembrano quelle delle classiche fiction italiane che tutti dicono di detestare ma che, forse per magia o forse per stregoneria, continuano ad avere un enorme pubblico che le segue. Guardando Suburra, continuava a venirmi in mente un preciso set, amato da molti: quello di René Ferretti e di Duccio Patanè (e “smarmella” sembra essere il motto del direttore della fotografia di Suburra in più di un’occasione), quello di Stanis La Rochelle e di Corinna Negri, quello di Boris, una delle migliori serie televisive italiane degli ultimi anni.
Tutto sommato, questa è una serie piuttosto godibile, nonostante il suo enorme ammontare di difetti. Una buona fiction, nulla di più. Ma da un prodotto targato Netflix è lecito aspettarsi di più e la delusione è cocente e lascia l’amaro in bocca alla fine dei dieci episodi. Peccato.