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Stranger Than Paradise – I primi passi di Jim Jarmusch

 

Girato con la pellicola avanzata da Lo stato delle cose di Wim Wenders, Stranger Than Paradise è l’opera seminale di un regista unico e geniale.

La storia è divisa in tre atti. Il primo “The New World” girato in una grigia New York (o forse sarebbe meglio dire in un triste appartamento della Grande Mela. Narra di uno scommettitore, Willie (John Lurie) e dell’arrivo inaspettato della cugina Eva (Ezster Balint) dalla lontana Ungheria. Nel secondo atto “One Year Later” Willie e il suo amico Eddie partono per Cleveland dove Eva è andata a lavorare. Nel terzo ed ultimo atto “Paradise” i tre nel più classico degli on the road, affrontano un lungo viaggio per andare in Florida e decidere dei loro destini.

Jarmush si diverte a disseminare tracce del suo background nella scena in cui Eddie legge a Willie i cavalli da corsa con nomi tipo Indian Giver canzone pubblicata l’anno precedente dai Ramones (anche se in realtà cover dei 1910 Fruitgum Company). Ma anche Face the Music storico album della rock band britannica Electric Light Orchestra. Ancora più esplicito è il suo rimando musicale con tre cavalli, Passing Fancy, Late Spring e Tokyo Story. Tutti e tre capolavori del maestro del cinema giapponese Yasujirō Ozu, autore al quale Jarmush deve sicuramente tanto.

Ma in Stranger Than paradise c’è molto della Nouvelle Vougue in particolare il celebre Bande à part di Godard, soprattutto nell’indolenza di Eva, Eddie e Willie, che rimanda a quella dei personaggi di Anna Karina, Sami Frey e Claude Brasseur.

Già dal suo secondo film, dopo Permanent Vacation, saggio di laurea per la Graduate Film School di New York, il cinema di Jarmusch è colto e raffinato, cinico ed essenziale. I suo personaggi si muovono lentamente e la mdp si adegua di conseguenza. Ogni sequenza è un dipinto e la fotografia in b/n aiuta a renderla ancor più asciutta. Lontana mille miglia dall’epicità di genere del cinema hollywodiano. A firmare il taglio fotografico c’è poi Tom DiCillo futuro regista di Johnny Suede e del documentario When You’re Strange sui Doors.

E a proposito di musica, il film è ricco di curiosità ed aneddoti (non poteva essere diversamente visto che parliamo di Jim Jarmusch). Intanto c’è la splendida I Put a Spell on You di Screamin’ Jay Hawkins che sembra il quarto protagonista del film. Poi la Ost curata proprio da John Lurie che oltre ad essere stato un attore feticcio di Jarmusch era il sassofonista dei The Lounge Lizards e compositore di colonne sonore. Quindi Eddie ossia Richard Edson che prima di essere scelto dal regista come protagonista del film (pur non avendo alcuna esperienza) è stato il primo batterista dei Sonic Youth, per poi continuare in una prolifica carriera cinematografica.

Ma, divagazioni a parte, Stranger Than Fiction è soprattutto una riflessione sull’American Dream, sull’integrazione, sul melting pot statunitense, possibile solo se si è capaci di mantenere le proprie origini. Perchè la vera America è proprio come il goulash ungherese che prepara la zia di Cleveland, un insieme di ingredienti che si armonizzano.

Chi rinnega le proprie origini non trova spazio negli Usa e paradossalmente non potrà mai integrarsi. Ed è per questo che alla fine del film, Eva resta e Willie va via…