Malinconico, crepuscolare, definitivo ultimo atto di una percorso cinematografico che passa attraverso film come Mean Streets, Goodfellas e Casino.
Un epopea intimamente scorsesiana dai tempi più dilatati e toni più noir. Una pellicola che sembra voler fare il punto su questa meravigliosa stagione cinematografica e forse anche essere un nostalgico saluto ad una generazione di attori immensi.
Questo, ma non solo, è The Irishman, l’adattamento cinematografico del libro L’irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa (I Heard You Paint Houses) scritto da Charles Brandt. La pellicola racconta la vita di Frank “The Irishman” Sheeran (Robert De Niro) , mafioso statunitense considerato l’assassino del famoso sindacalista Jimmy Hoffa (Al Pacino). “più famoso di Elvis negli anni’50, più dei Beatles negli anni ’60. Dopo il Presidente stesso, l’uomo più potente degli Stati Uniti d’America”.
Il tradimento, la disonestà, il fallimento emotivo, quello familiare e infine la morte, sono solo alcuni dei temi che affronta magistralmente The Irishman.
La pellicola è un jukebox della carriera del maestro, un’epica avventura che “segnerà il capitolo definitivo sull’immaginario di un genere fondamentale del cinema americano e non solo”. Tra gli stilemi del regista rimangono piani sequenza e voice over pileggiani (qui in veste di produttore), ma l’impressione che questo sia il suo film più contemplativo e universale.
Più di quanto non abbia fatto con Quei Bravi Ragazzi, Scorsese in The Irishman, racconta criminalità locale, ma estende il discorso a Hoffa, ai Kennedy, E. Howard Hunt, il Watergate e alla memoria storica di un intero paese.
Il collegamento della Cbs per l’omicidio di Jfk è una cartolina struggente e un esempio di come il regista abbia voluto raccontare attraverso un “piccolo” mafioso, il dolore e le contraddizioni di paese intero. Una nazione, e un uomo, incapace di riconoscere le proprie colpe, di chiedere scusa, di assumersi le responsabilità e di trovare redenzione anche innanzi all’ineluttabile. Ma soprattutto ci sono loro, “quei bravi ragazzacci”: De Niro, Pesci, Pacino, Keitel. Istrionici old bubbies capaci di ammazzare alle spalle anche un amico. Veterani fuori e dentro la parte, “invecchiati” dai flashback, che coprono oltre trent’anni di storia, attraverso CGI, o trucco analogico e posticcio che sia. Meravigliosi interpreti che si capiscono con il solo sguardo come la coppia De Niro/Pesci, e Scorsese lo mette in scena in una sequenza memorabile. Poi ci sono Pacino/De Niro che 25 anni fa, in Heat- La Sfida di Michael Mann, si erano appena sfiorati, mentre qui restano faccia a faccia fino, anzi no, esclusa l’ultima scena!
Insomma per dirla facile, Scorsese è un maestro, ma Martin è anche quel vecchio zio d’America che ti racconta storie incredibili, di malavitosi alla Jimmy two times. Storie di un violenza tarantiniana (in realtà il contrario), dove c’è sempre in mezzo un piatto, qualcosa da mangiare o un modo infallibile per tagliare l’aglio, uno strawberry sundae o un chili dog come si fa a Philly. Tutti espedienti per rendere questi delinquenti più vicini alla gente comune. Umani dove di umano c’è poco.
Spassosi villains che di solito muoiono ammazzati per strada. Talvolta, solo di rado, come nel caso di Frank Sheeran invecchiano malinconicamente in una casa di cura.