Home Speciale FESTIVAL Roma 14 – Fête de famille: poco parenti, molto serpenti

Roma 14 – Fête de famille: poco parenti, molto serpenti

In occasione del settantesimo compleanno estivo della mater familias Andréa, interpretato da Catherine Deneuve, figli e nipoti si riuniscono nella sontuosa, seppur fatiscente, dimora familiare.

C’è il suo compagno Jean (Alain Artur), la nipote adolescente Emma (Luana Bajrami), che vive con loro e il fidanzato di Emma, Julien (Joshua Rosinet). Quindi arrivano anche Vincent (i regista Cédric Kahn) con la moglie Marie (Laetitia Colombani) e i loro due giovani ragazzi Milan e Solal. Il figlio un po’ infantile e pseudoartistoide Romain (Vincent Macaigne), con la sua nuova bellissima fiamma argentina, Rosita (Isabel Aime Gonzalez-Sola).

Per ultima Claire (Emmanuelle Bercot) in arrivo direttamente dagli States. Così dice… Si perchè di segreti e tensioni, questa famiglia borghese ne ha tanti.

Vista l’occasione Andréa vorrebbe “che si parlasse solo di cose gioiose”, ma già dopo una 20ina di minuti escono fuori le prime problematiche e malsane dinamiche tra alcuni personaggi.

Ci sono come sempre irrisolte questioni economiche, abbandoni, debolezze, fragilità, aspirazioni, gelosie e tanto altro. Tutto in un crescendo emotivo esasperante e grottesco.

Opera corale del regista-attore parigino Cédric Kahn (La Noia, Roberto Succo) si avvale di un cast d’eccezione e di una sceneggiatura classicamente teatrale.

Un tipico kammerspiel mitteleuropeo in cui un occasione apparentemente giocosa e serena come una “fête de famille” diventa in breve un pretesto per rinfacciarsi i peggiori risentimenti e tirar fuori tutti gli scheletri nell’armadio. Di film che partono con questo incipit ne abbiamo visti a bizzeffe da Vinterberg ad Allen, da Monicelli e a Muccino. Non tutti capolavori ma di certo, un plot del genere ha regalato spesso ad autori ed attori una facile e stimolante occasione per mettersi in mostra. Kahn invece si scava la fossa, confezionando un film pretenzioso e ambiguo.

Continuamente urlato tanto da costringere gli attori, soprattutto la pur brava Bercot ad un continuo ed estenuante overacting, il film è sempre sopra le righe.

I personaggi non sono tutti delineati, alcuni contribuiscono alla storia meno del mobilio della fatiscente villa. La giovane Emma sembra avere un risentimento comprensibile ma del tutto inesplorato nei confronti della madre Claire. Il suo fidanzatino (“il non troppo nero”) Julien, non parla mai e intrattiene gli spettatori neanche fosse parte di un triste “minstrel show”(ricordate Bamboozled di Spike Lee?). Speriamo col cuore in mano di non aver colto un’eventuale provocazione del regista, altrimenti è di un razzismo disarmante. I personaggi di Romain e di Rosita, soprattutto quando vagano tra le stanze della casa per farsi una canna con quei sorrisetti ebeti, danno adito ad una imbarazzante quanto involontaria comicità slapstick di cui proprio non se ne sentiva necessità. L’uso delle canzoni in particolare la bella “L’Amour, L’Amour, L’Amour” del grande chansonnier franco-algerino Marcel Mouloudji è furbo e modaiolo.

Al soffio delle candeline la tortura finisce. Due minuti dopo i titoli di coda, non rimane che una lontana melodia in testa e il nulla cosmico nel cuore.