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PLATA o PLOMO – Narcos, Stagioni 1,2

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In copertina, Narcos: Parla come el patròn, ovvero: prendere appunti su come fare marketing vincente.

Soy el agua que mata tu sed / El castillo, la torre yo soy…

C’è poco da fare: alla fine di Narcos, i titoli di testa saranno diventati un mantra nella vostre orecchie; vi ritroverete a ripetere le colorite espressioni di Escobar per esercitare il vostro spagnolo (soldi o piombo, per chi si è chiesto il significato del titolo); insomma, avrete subito il fascino del prodotto Netflix.

Certamente Narcos ha dietro di sè una campagna pubblicitaria vincente, ma il successo è dovuto principalmente a due fattori.

Il primo, è il fascino quasi perverso attorno la figura di Pablo Escobar, re dei narcotrafficanti colombiani fino ai primi anni ’90… senza meno un criminale, eppure amato dal popolo per gli atti di generosità sfrenata (lancio di banconate in pubblico, ospedali, scuole costruite in suo nome) e protagonista di una vita fuori dal normale.

E qui viene il secondo fattore: l’alternarsi in Narcos di parti romanzate, fiction, a materiale di repertorio; una tecnica che colpisce, perchè proprio quando l’escalation di violenza raggiunge l’incredibile, i telegiornali di allora ci mostrano che molto di quello che vedete non è finzione.

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Non spoilero del tutto.

Abbiamo quindi un personaggio protagonista di incredibili vicende, che arrivò a potersi permettere di poter saldare il debito pubblico della sua nazione; che si costruì una prigione di lusso dove l’ingresso ai poliziotti non era permesso; che spazzava via qualunque vita si mettesse di intralcio tra lui e la plata, ovvero i soldi (e l’alternativa di chi non si faceva corrompere era il piombo/plomo).

In questo, le vicissitudini della DEA americana -gli odiati Gringos-, CIA, polizia e politica locale dediti a prendere Escobar e ficcargli una pallottola in testa; vedrete l’evoluzione dei loro metodi, in un’escalation data dalla dura constatazione che non si gioca ad armi pari se solo una fazione segue le regole.

Voce narrante delle vicende è l’agente della DEA Murphy (il cui buddy è uscito dritto dritto dal bodycount di Games of Thrones), non sempre perno della narrazione; d’altronde Narcos è un mondo corale, fatto di personaggi violenti, che spesso escono di scena in un sacco nero.

Chiacchere tra amigos

Paradossalmente, quello che funziona meno in Narcos è la parte ‘fiction’: i momenti di intimità e di caduta, i dietro le quinte emozionali degli agenti sono spesso abbozzati e sterili (sul serio, a qualcuno è interessato un fotogramma della vita domestica di Murphy?); ma forse è colpa dell’ immenso Wagner Moura, che in certi momenti ci fa persino tifare per il mostro.

Mostro di cui tutti sappiamo la fine; vedremo come Narcos saprà intrattenerci con altre due serie, che per forza di cosa dovranno cambiare approccio.

Da vedere.

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Direttore e Fondatore

Il lavoro e la vecchiaia incombono, ma da quando ho memoria mi spacco di film di fantascienza, dove viaggio di testa fino a perdermi, e salto in piedi sul divano per dei tizi che si menano o sparano alla gente come fossero birilli. Addolorato dalla piaga del PG­13, non ho più i nervi per gli horror: quelli li lascio al collega, io sono il vostro uomo per scifi, azione e film di pistolotti metacinema/mental/cose di finali tripli.