Alex De La Iglesia presenta il primo lungometraggio di Eduardo Casanova, che all’età di 26 anni ci ha regalato ”Pieles” (Pelli, in inglese ”Skins”).
”L’orrore siamo noi stessi”. Anno 2000: Laura è una bambina di undici anni senza occhi costretta a prostituirsi sin dall’infanzia in un bordello gestito da una donna grassa e completamente nuda. Anno 2017. La protagonista qui è Samantha, una ragazza che ha, al posto della bocca, l’ano e al posto dell’ano, la bocca, quindi possiede il sistema digerente al contrario. Si alternano scene toccanti di lei che osserva, su un suo quaderno, sue foto con degli adesivi a forma di labbra dove dovrebbe esserci la bocca, mentre le sue immagini e i selfie vengono cancellate dai social perché (mostrando un sedere), non rispettano i canoni. Il tutto con una struggente melodia da sottofondo, che ci mostra le lacrime agli occhi della giovane. Ella viene bullizzata da due tipi loschi e, nel tentativo di scappare in auto, colpisce qualcosa. Da un’altra parte, abbiamo un ragazzo affetto da somatoparafrenia, il quale non accetta le sue gambe, arrivando all’autolesionismo, perché vuol diventare una sirena; un uomo che è stato cacciato di casa, Ernesto, che si masturba sulle deformità della fidanzata, Ana, che, stranamente, lo tradisce per un ragazzo completamente ustionato, Guillermo e una donna nana, che lavora in uno studio televisivo e rimane incinta. Samantha, dopo essere stata bullizzata, corre in auto e si imbatte sulle gambe del giovane ragazzo malato, il quale, per farsi amputare le gambe, si era sdraiato sull’asfalto coprendosi il resto del corpo tra due bidoni dell’immondizia. Così, presa dalla paura, Samantha osserva il giovane ridere di gioia e, successivamente, scappa in preda al panico lasciandolo morire.
”Le sirene non hanno le gambe, ma sono felici”.
”Pieles” è il primo film del regista Casanova, che ci dimostra che il suo nome va ricordato. Con tocchi di Lynch e Almodòvar, le storie sono tutte diverse ma intersecate e formano, unendo i pezzi, un enorme puzzle. Eduardo Casanova ci dimostra il suo elaborato in stile ”Freaks” moderno in un tripudio di puro grottesco.
Un film assurdo, anomalo, disturbante e fuori dall’ordinario. Disturbante non per le deformità dei personaggi, che dovrebbero essere considerati diversi dalle persone comuni e senza cuore, ma per la malvagità dell’umano in sé intrisa nell’opera, umano che è capace di tutto pur di prendere in giro e sotterrare, denigrare, chi è più debole: chi è diverso da lui.
Il film, esploso nell’ultimo festival di Berlino e uscito su Netflix, ha stupito il pubblico internazionale e c’era pure da aspettarcelo. Non è un’opera semplice, bensì complessa, così bella e attraente nel suo gusto orrido. Tutte le storie di deformità, incastrate tra loro, destabilizzano e scandalizzano ma in lato positivo.
”Pieles” non è uno scenario divertente sulle persone diverse, né tantomeno un eccesso di bullismo per chi è anormale; non è un horror, non è una commedia: è un film weird sul puro dramma sentimentale, perché ”Pieles” è tutto.
Un’opera vera e propria, originale, per nulla banale e con tanta arte poetica intrisa in sé stessa. ”Pieles” è permeato da un senso di angoscia e amarezza, ma anche da un senso estetico di bellezza. Perché sì, in tutte queste anormalità, c’è la bellezza più mera e la voglia di essere e la diversità diviene persino affascinante all’occhio umano, così affascinante da desiderare l’amore di chi non è come noi. Qui la critica sociale è molto palpabile e sentita.
A ricordare la bellezza dei personaggi, pur nelle loro imperfezioni, sono i meravigliosi colori di cui è composto il film: rosa, lilla, viola… pastello. Una bellezza visiva, quasi asettica.
Perché siamo tutti umani e siamo tutti uguali nelle nostre differenze, nei nostri difetti, nelle nostre più profonde imperfezioni, poiché è l’anima che conta… il corpo è solo un involucro.
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