Ozark è scritto bene e altrettanto bene dipinge la malattia del denaro, che mai non basta per le tasche di chi vede milioni fluire come un fiume in piena
Jason Bateman, famoso ai più per le sue capacità comiche, passa al lato oscuro in Ozark come contabile dei narcotrafficanti, che per garantire un futuro a sé e alla propria famiglia dovrà dimostrare di poter riciclare denaro sporco nella ridente cittadina che dà nome al titolo.
Il background di Bateman, anche regista in alcuni episodi, è però prepotentemente presente nelle linee di dialogo che il suo Marty Bird snocciola senza batter ciglio; esse sono a tutti gli effetti gli unici momenti il cui l’atmosfera della serie è stemperata: altrimenti, Ozark è costantemente permeato da un senso di cupa freddezza (la fotografia virata sul blu è un degno accompagnamento), in un costante degrado ambientale, fisico o sociale.
Tra paesani con un presente da falliti (gli ozark-iani) e stranieri senza futuro (l’intera famiglia Bird), spiccano Ruth, genio del male sbocciato nella spazzatura di redneck locali; un agente dell’ FBI al limite del trattamento sanitario obbligatorio e, ovviamente, buona parte della famiglia Bird.
Se infatti è Marty sulle prime il mattatore della serie, nel corso degli episodi assume il suo peso sia la moglie, petulante, lamentosa ma una valida compagna nella lotta alla sopravvivenza; non da meno il figlio minore, che sotto la scorza di ragazzino strambo si rivelerà molto più resiliente e scaltro di altri personaggi adulti.
Ozark è scritto bene e altrettanto bene dipinge la malattia del denaro, che mai non basta per le tasche di chi vede milioni fluire come un fiume in piena. Certamente deve più di qualcosa a Breaking Bad, e non può reggerne il confronto, ma gli scatti di violenza, i dialoghi e qualche inaspettato colpo di scena danno merito a questa serie, che riteniamo meriti un seguito.