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Il Nulla: Il gusto dell’anguria di Tsai Ming-liang

Il Taiwan è afflitto da una terrificante siccità, la televisione consiglia di dissetarsi con il succo d’anguria, il più saporito ed economico rimedio contro il caldo. Il gusto dell’anguria di Tsai Ming-liang non è “una commedia sexy e fruttata”, come recita la locandina italiana, quanto di più fuorviante e fasullo si sia mai visto. È un film vuoto, nel senso più filosofico e angosciante del termine. I personaggi che vagano in questo Taiwan fatto di corridoi vuoti e asettici, di cavalcavia che donano uno dei pochissimi punti di colore in un paesaggio altrimenti monotono e sterile, di interni che rispecchiano la solitudine esistenziale dei due protagonisti, Hsiao Kang, un ex orologiaio che si è dato al porno, e Shyang Chyi, una sua vecchia amica che passa il giorno a bere succhi d’anguria e a mangiarne la polpa. I due si ritrovano dopo molto tempo e iniziano una relazione sentimentale fatta di ammiccamenti e provocazioni, senza mai giungere alla naturale conclusione. Però, lei è all’oscuro del nuovo lavoro di Hsiao.

Una delle surreali sequenze musicali del film.

Quello che Tsai Ming-liang mette in scena è un film fatto di silenzi lunghi ed esasperati, di orgasmi e di sudore. Un’opera grottesca, surreale ed opprimente. I personaggi percorrono sempre le stesse strade, compiono sempre le stesse azioni. Nessuno chiede niente a nessuno, nessuno dice nulla di significativo a nessuno. La quotidianità è silenzio e desolazione. In una parola, la quotidianità è “vuoto”, il Nulla. Non accade niente di importante: dei granchi che vagano liberi per la cucina, spaventando Shyang, formiche che corrono sui corpi di alcune persone, gente che prende l’ascensore, Hsiao che gira scene porno. Lo scorrere dei giorni viene interrotto da scenette musicali surreali e stranianti, unici momenti di fuga dall’atmosfera asfissiante, non solo a causa della siccità, che i protagonisti e lo spettatore respirano.

La regia di Tsai Ming-liang è lapidaria, quasi una pietra tombale cinematografica. Pochissimi movimenti di macchina, la maggior parte dei quali presenti negli intermezzi musicali; long-takes immobili che richiedono allo spettatore di collaborare, costringendolo a realizzare un personale montaggio con il proprio sguardo. La macchina da presa è spesso e volentieri posta in punti insoliti, spesso inclinata e posta obliquamente rispetto all’azione. A tratti, la regia di Ming-liang ricorda quella di Roy Andersson in film come Du levande. L’obiettivo della sua camera raramente ricerca dettagli, preferisce riprendere la realtà senza farsi coinvolgere troppo. Il regista resta spesso e volentieri distaccato, freddo come la fotografia che dipinge i frame di questo film. Gli unici momenti in cui lo spettatore viene avvicinato alla scena con una attenzione quasi morbosa sono quelli in cui i personaggi fanno sesso. Sesso che da intrigante e bizzarro, come quello della scena incipitaria, in cui Hsiao pratica del sesso orale e manuale su un’anguria che la sua collega tiene stretta con le gambe sul pube nudo, a degradante e meccanico, come accade alla fine, in cui il regista del porno in cui lui recita lo costringe a possedere il corpo privo di coscienza della collega, sotto lo sguardo shockato di Shyang, in un finale intenso, lungo e deprimente.

Un frame del lungo ed intenso finale del film.

Un film molto intimo, il ritratto di una realtà dipinta con pennellate grigie. Il gusto dell’anguria non è assolutamente un film semplice e leggero, come vorrebbe lasciare intendere la ridicola locandina italiana. È un film che prende a cazzotti l’animo dello spettatore. Il Nulla domina le vite dei personaggi, che spendono il proprio tempo in azioni futili. Il Nulla della nostra esistenza crea un vortice di desolazione e solitudine e l’unica via di fuga che ci è concessa è l’immaginazione, quei pochi momenti grotteschi ma divertenti, le sequenze musicali estremamente colorate.