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Lisbon Story: l’anima in movimento di Wenders

“Ascolto senza guardare e così vedo”.

Un fonico zoppo (Rüdiger Vogler) alla ricerca di un regista nella città di Lisbona. Già solo il plot del 14mo film di Wim Wenders, è metafora, film nel film e dichiarata intenzione dell’autore di scavare a fondo nelle contemporanee e reali potenzialità del cinema.

Una narrazione ed un protagonista che simbolicamente vanno a rilento, come la vita stessa della città del Tejo e dei pasteis. In fondo il piacere principale per un turista a Lisboa è leggere Pessoa, sorseggiando “uma bica” e mangiando il dolce tipico di Belem. Wenders gira Lisbon Story pochi mesi dopo la morte di Federico Fellini e al maestro dedica la pellicola, che si apre proprio con la notizia riportata sul quotidiano e si chiude con la scritta “Ciao Federico”. Winter, il protagonista del film arriva in città dopo un lungo viaggio dalla Germania. Va a vivere nella città del suo collega Friedrich il “desaparecido” regista. Chiede a chiunque in zona, compresi alcuni ragazzini. Ma dell’uomo non si hanno notizie.

Ma è tutto un espediente, la vera protagonista del film è proprio Lisboa, meravigliosa, compassata, proprio pochi anni prima del caos dell’Expo. La Lisboa degli azuleos, del fado e dei Madredeus, band cult che ha fatto conoscere la musica tradizionale lusitana in tutta Europa, riprendendo in versione moderna l’espírito di Amália da Piedade Rebordão Rodrigues. La regina scomparsa 5 anni dopo. I Madredeus per Wenders scrivono una delle OST più folgoranti del cinema europeo di tutti i tempi. Roba da ascoltare senza interruzione. C’è spazio anche per un cameo di Manoel de Oliveira, compianto maestro del cinema portoghese. Winter intanto, in attesa di ritrovare il regista, va in giro per i bairros di Lisbona a registrare, i suoni dei tram e dei piccioni. Di tanto in tanto anche delle persone che in portoghese si dice proprio pessoa, parola che vuol dire anche “nessuno”. La bellissima Teresa Salgueiro, da le chiavi dell’appartamento di Friedrich a Winter, ma lui vuole quelle del suo cuore. La cantante spiega al fonico l’alma stessa di Lisboa e il significato della canzone “Tejo”. Un estratto del testo tradotto, suona più o meno così:

“Tejo, mio dolce Tejo, corri così; hai corso per millenni senza rimpianti, sei la casa dell’acqua dove alcuni anni fa ho scelto di nascere.”

 

Il film diventa dunque una riflessione sull’esistenza che passa, delle anime che vivono e che muoiono come le acque del Tejo, che scorrono ogni giorno da secoli e sfociano nell’oceano. Unica testimone la città, Lisbona, come il cielo sopra Berlino o come Palermo e le altre a cui il regista tedesco ha reso omaggio. C’è anche spazio per alcuni piccoli e deliziosi scketch comici, con il goffo Winter e la sua zoppia. Un po’ Tati, un po’ Marceau e ovviamente Chaplin. In fondo la vita, a Lisbona soprattutto, è attesa, divertimento, noia, mancanza, nostalgia o forse solo saudade.

Alla fine Winter troverà Friedrich, il regista, interpretato da Patrick Bauchau, viene mimetizzato da Wenders in modo da somigliare a Fellini. Il suo incontro è quasi mistico. Ricorda Kurtz di Apocalypse Now e non ha più fiducia nelle immagini in movimento. Sembra essere diventato cieco ed è in balia di una profonda crisi artistica.

Un Wenders nostalgico mette in bocca a Friedrich una frase emblematica:

“Le immagini non sono più quelle di un tempo. Impossibili fidarsi di loro, lo sappiamo tutti, lo sai anche tu. Mentre noi crescevamo le immagini erano narratrici di storie e rivelatrici di cose. Ora sono tutte in vendita, con le loro storie e la loro prose. Sono cambiate sotto i nostri occhi, non sanno più come dimostrare nulla, hanno dimenticato tutto, le immagini vengono svendute aldilà del mondo Winter e con grossi sconti!”

Winter lo farà però ricredere regalandogli una perla del suo amico Pessoa/Nessuno: “Nella piena luce del giorno anche i suoni splendono. “