Nel deserto a sud di Israele, in una tribù beduina, fervono i preparativi per il secondo matrimonio di Sullman. Dopo pochi minuti una scena illumina e mette a fuoco lo spirito del film. La seconda moglie di Sullman infatti, come tutte le altre donne del villaggio, è costretta a mettere dei baffi finti all’arrivo della giovane e avvenente nuova sposa.
Si tratta di una tradizione di questo lontana realtà sociale, tanto affascinante quanto indecifrabile per gli occhi dell’occidente. La sposa sarà infatti, almeno per un giorno, l’unica donna della cerimonia e le altre dovranno indossare questa posticcia fattezza mascolina. Sullman (Hitham Omari) ha deciso già tutto. Le due spose, quella giovane e quella “di seconda mano” abiteranno una accanto all’altra e si daranno una mano se necessario. Poi c’è anche la giovane Layla, una nuova generazione, una studentessa meno disposta a scendere a compromessi con il passato dogmatico di quello sperduto villaggio nel deserto israeliano. La ragazza è innamorata di un giovane, ma per lei il padre padrone ha già pianificato un matrimonio combinato.
Tradizione arcaiche, ostentazioni patriarcali, museruole sociali e tanto altro sono al centro del film, opera d’esordio della regista israeliana Elite Zexer. Scrittrice e docente alla Tel Aviv University l’autrice mette in scena il dualismo passivo-aggressivo tra una madre Jalila (Ruba Blal) e la figlia Layla (Lamis Ammar). Entrambe costrette, dalle maglie sociali, a sopportare l’umiliazione di una seconda concubina o a sposare l’uomo sbagliato.
Il cinema occidentale racconta spesso le anomalie delle famiglie disfunzionali borghesi, la Zexer invece si affida ad un cast particolarmente ispirato per catapultare lo spettatore nella normalità sociale. I delicati equilibri di una famiglia culturalmente tanto lontana da noi eppure tanto affine.
L’assoluta protagonista è ovviamente la 27enne Lamis Ammar, come la regista anche lei esordiente dopo esperienze di strada come clown e qualche corto.
L’approccio documentaristico della Zexer fa tutto il resto, facendoci provare rabbia e vergogna davanti all’impotenza di due donne assoggettate alle leggi scritte da uomini, per gli interessi degli uomini.
Gran Premio della Giuria al Sundance 2016, La tempesta di sabbia è un opera classicamente mediorientale scevra di vezzi stilistici. Piuttosto protesa, anima e corpo, a narrare, nel senso stretto del termine, una storia.