Jenny Davin è una giovane dottoressa di Liegi, conduce brillantemente un ambulatorio dove va a fare pratica Julien, uno studente in medicina. Jenny è molto stimata dai suoi pazienti e dall’intera comunità. Una sera, circa un’ora dopo l’orario di chiusura dello studio, una donna citofona. I due medici, vista l’ora tarda, decidono di non aprire. Il giorno dopo la polizia inizia le indagini a seguito del ritrovamento del cadavere di una donna senza documenti, di cui si sa solo che la sera prima aveva cercato riparo da un’imprecisato pericolo. Tormentata dai sensi di colpa, Jenny, inizierà ad indagare, per venire a capo del caso e dare un nome alla povera e sfortunata ragazza.
Il cinema dei Dardenne è fatto di eroi loro malgrado. La poetica di piccoli individui. Gente comune alle prese con problemi comuni, o quasi. Non è un cinema da guardare con gli occhi, ma da vivere col cuore.
Come per i dettami di Dogma ’95, sono storie che ti racconta la vicina nel pianerottolo di casa, non s’interviene troppo nè fotograficamente, né in postproduzione e rigorosamente nessuna musica extradiegetica. Sin dal loro primo grande successo internazionale, Rosetta, Palma d’Oro a Cannes nel 1999, hanno tracciato una precisa strada, un’idea di cinema che ha fatto proseliti. Anche se in fondo il loro stesso modo di far cinema è derivativo. I loro film sono urgenti, sinceri, diretti, niente fronzoli, solo la verità e il punto in questione. Negli ultimi 20 anni non hanno rinnovato molto il loro cinema, come se non stessero cercando di fare il film perfetto, ma di costruire una degna filmografica.
La fille inconnue (La ragazza senza nome) non è altro che l’ennesimo tassello in questa operazione. Sicuramente quest’ultima prova, non è la loro pellicola più riuscita, ma parliamo pur sempre di un gioiello. Adèle Haenel, già apprezzata ne The Fighters – Addestramento di vita e recentemente per Robin Campillo nel film rivelazione 120 battiti al minuto, incarna una “Rosetta” adulta. Logorata dalla inossidabile misura etica che guida le nostre azioni quotidiane. Volendo, “la fille inconnue” è rivelazione dell’umano che c’è in noi, in circostanze eccezionali ma comuni. Siamo uomini o caporali diceva Totò, perché i caporali, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano, questi problemi non ne hanno. Gli uomini invece si. A loro e solamente a loro, sta la scelta di condurre un tipo di esistenza virtuosa o meno. Perché in fondo sono in molti a conoscere l’identità questa “ragazza senza nome”, ma chi tra loro è disposto ad esporsi?
La società dei Dardenne è interdipendente, come nell’utopia arcologica, ognuno ha un proprio posto, un proprio ruolo.
La fille inconnue, così come tutta la loro filmografia ha come fine ultimo, quello di indicarci dov’è il punto di rottura delle nostre coscienze e permetterci di trovare l’equilibrio tra noi e il mondo che ci circonda. Ma soprattutto agire nell’interesse comune, perché abbiamo tanti diritti, quanti doveri.
Il solo vivere, non basta.