Oggi su JAMovie vi proponiamo l’intervista fatta da Andrea Giostra all’attrice, regista e sceneggiatrice Ieva Lykos.
Ciao Ieva, benvenuta e grazie per la tua disponibilità.
Se volessi presentarti ai nostri lettori cosa racconteresti di te quale artista della settima arte?
Grazie anche a te, Andrea!
Questa domanda mi fa sentire ai tempi dei casting per principianti… Lascio a te l’incarico di presentarmi attraverso questa intervista… Grazie infinite!
Bene, allora scopriremo chi sei dalle tue risposte… Qual è stato il tuo percorso artistico che ti ha condotto dove sei ora?
Sin da adolescente ho partecipato a spettacoli teatrali che andavano in scena al Teatro Nazionale “Mihai Eminescu” di Botosani, la mia città natale, organizzavo e conducevo spettacoli live di vario tipo.
L’Università d’Arte drammaturgica si trovava a Bucarest e alla mia famiglia sembrava scomodo farmi iscrivere li perché distava molto da casa mia, quindi optai per Giornalismo e Lettere iscrivendomi all’Università Statale di Iasi, capitale culturale della Romania. Sono venuta in Italia con l’intento di trovarmi un lavoro per qualche mese e poi ritornare in Romania, avevo tanta voglia di essere indipendente, ma lo stivale mi ha affascinata così tanto che sono rimasta. A quel punto dovevo far ripartire la mia vita in Italia da zero, e decisi di farlo al meglio, tanto è vero che mi iscrissi al Teatro Gedeone di Milano per approfondire la tecnica di recitazione Stanislavskij, applicata sia al cinema che al teatro. Dopo quattro anni di studio e piccoli ruoli per Mediaset e All music, mi preparai per un casting al Teatro Puccini di Firenze per uno spettacolo con la regia di Riccardo Rombi. Il provino andò molto bene, ma ero ancora troppo giovane per quella parte e non fui presa. Dopo circa un anno fui convocata dallo stesso regista Rombi, che aveva preparato una sua versione del “Soldatino di Piombo” di Andersen, dove mi proponeva un doppio ruolo, quello della ballerina e quello di Arlecchino veneto, un personaggio creato ad hoc. Nel periodo in cui lavorai per la sua compagnia teatrale, Catalyst di Firenze, fui chiamata per una puntata pilota di una sit-com, “Tutti a bordo”, da girare sulla nave da crociera, con la regia di Riccardo Recchia, noto soprattutto per Zelig, dove ebbi il ruolo della barman, poi mi fu assegnato il ruolo di Marta nel film “Racconto Calabrese” di Renato Pagliuso. Dopo nemmeno sei mesi, ricevetti una e-mail dal regista Carlo Fusco che mi chiedeva il materiale per valutarmi per il ruolo della protagonista, Ester, in un suo film con un cast internazionale composto da Bruce Davison (nominato all’Oscar per “X –men”), Daryl Hannah (“Kill Bill”) e Tom Sizemore (“Salvate il Soldato Ryan”). Il fatto di aver recitato in quel film, mi portò ad un forte cambiamento professionale e decisi di dedicarmi solo al cinema. Dopo poco tempo, al regista Carlo Fusco fu proposto di fare un film artistico sulla vita del personaggio siciliano Salvatore Giuliano, ma subito dopo rinunciò al progetto per mancanza di fondi e io, affascinata dalla storia del bandito-eroe di Montelepre, gli suggerii di fare un film documentario che lui trovò interessante, ma solo da produrre. Mi consegnò la regia perché Fusco non ama dirigere film documentari.
Come definiresti il tuo stile recitativo? Chi sono i tuoi modelli e chi sono stati i tuoi maestri che vuoi ricordare in questa intervista?
Penso di avere uno stile fatto di varie sfaccettature, che vanno dal brillante, al drammatico. Dentro di me, oltre al sarcasmo e all’umorismo, c’è anche tanta tragedia che forse è innata, dato le mie origini greche. Ma c’è anche una forte risorsa che traggo dal mio vissuto personale. Cerco di mettere il mio cuore in mano allo spettatore, sarà lui a decidere se sono degna di apprezzamenti o no. La vita quotidiana, come per tutti, resta per me una grande risorsa, sia come attrice che come sceneggiatrice. Si impara soprattutto dalla gente comune, dalla vita di tutti i giorni, dalle piccole emozioni che, con un poco di fantasia, si concretizzano poi in capolavori. Non sono d’accordo che un attore abbia per forza bisogno di formazione. C’è da dire che in Italia si autoproclamano tutti insegnanti, molte scuole rovinano talenti piuttosto che formarli. Io, ad essere sincera, per la scuola che ho frequentato, ne ho tratto enormi benefici. Quello che ho frequentato io al Teatro Gedeone era un ambiente piccolo e di famiglia, dove i maestri non mi risparmiavano se sbagliavo, dove dedicavano tempo per seguirmi perché arrivassi ad un risultato compiuto. Il metodo Stanislawskij ti conduce a cercare nelle più profonde viscere di te stesso. C’erano volte che tornavo a casa piangendo, mi faceva paura quello che scoprivo su me stessa. Due grandi modelli che porto nella mente e nel cuore sono Anna Magnani e Meryl Streep, per me sono in assoluto le attrici migliori, più complete e complesse di tutti i tempi.
Tu sei anche una regista e documentarista.
Qual è stato il tuo percorso professionale per diventare brava anche dietro la cinepresa? Chi sono stati i tuoi maestri?
Nel periodo dell’università organizzai due documentari per la televisione indiana, facendo da assistente ad un giornalista di Calcutta, Amarendra Chackravorty.
La storia degli zingari e Il castello e i misteri di Dracula.
Quell’esperienza mi hanno fatto maturare una buona idea rispetto all’uso della cinepresa per fare documentari.
Ne Il Padrino del Bandito Giuliano, già in distribuzione in tutto il mondo, che ho scritto e diretto, ho avuto come maestro Carlo Fusco che era sempre sul set, in qualità di produttore, ed essendo anche regista, lo trovai un fiume in piena, con tante cose da insegnare e dalle quali imparare.
Una cosa importante da precisare è che in un documentario, oltre alla visione cinematografica, bisogna avere una buona dose di realismo nell’esposizione dei fatti.
I miei studi di giornalismo mi hanno aiutato molto in questo perché il lavoro documentaristico e di reportage non dà molto spazio all’artisticità, alla creatività e al soggettività della narrazione.
Chi sono secondo te i più bravi registi nel panorama internazionale e nazionale? E con chi di loro ti piacerebbe lavorare e perché?
Nel panorama italiano credo sia Giuseppe Tornatore.
In lui quello che mi colpisce di più è soprattutto il suo perfezionismo nel quale mi ritrovo. Anche Tornatore ha prodotto e diretto documentari prima di diventare un grande regista. I suoi film appaiono perfetti da tutti i punti di vista, dalla fotografia, ai costumi, alle scenografie, alla colonna sonora.
Nelle sue opere nulla è lasciato al caso e questo mi fa apprezzare molto i suoi lavori. Mi piacerebbe lavorare con Lars von Trier, ma non solo perché lo considero uno dei migliori registi in assoluto, bensì perché è un pazzo scatenato, un demonio sul set, un mancato dittatore e un misogino.
Il regista influisce molto sull’interpretazione dell’attore e io funziono a meraviglia quando sono sotto pressione e soprattutto quando un uomo crede che noi donne valiamo poco. C’è una sorta di sofferenza in me che viene ingigantita ed esposta meglio se sussistono tensioni e vengo provocata.
E poi sarei molto curiosa di osservare un matto partorire un nuovo capolavoro.
Ci sarà una lieve forma di masochismo che giace in me? Non lo so, sembra che le esperienze forti me le vado a cercare.
Lui non me lo dimenticherei mai, nel bene o nel male. Penso più nel male!
«La sceneggiatura è il genere di scrittura meno comunicativo che sia mai stato concepito.
È difficile trasmettere l’atmosfera ed è difficile trasmettere le immagini. Si può trasmettere il dialogo; se ci si attiene alle convenzioni di una sceneggiatura, la descrizione deve essere molto breve e telegrafica.
Non si può creare un’atmosfera o niente del genere…» (Conversazione con Stanley Kubrick su 2001 di Maurice Rapf, 1969).
Cosa ne pensi delle parole di Kubrik sulla sceneggiatura, considerato che più volte ti sei cimentata anche come sceneggiatrice? Quanto è importante la sceneggiatura per la realizzazione di un’opera cinematografica?
Con tutto il rispetto per Kubrik, credo non abbia pienamente ragione. Ho letto centinaia di sceneggiature negli ultimi anni, mi occupo anche di produzione cinematografica e ti assicuro che le sceneggiature buone, anche se scritte in modo telegrafico, trasmettono non solo le atmosfere, i toni, ma anche tante emozioni.
È altresì vero che uno script, letto da un addetto ai lavori, non è mai come letto da una persona che nulla ha a che fare con questo mestiere proprio perché questo genere di scrittura potrebbe apparire loro sterile. Tuttavia, scrivere “Francesca respira affannata. Riprova ad aprire la finestra. Le fiamme del fuoco la stanno per raggiungere. Piange disperata.” credo dia a chiunque un’idea chiara su tutto quello che sta accadendo. La sceneggiatura è fondamentale perché se è scritta bene, difficilmente verrà fuori un brutto film.
Ti faccio un esempio recente che io stessa ho vissuto sulla mia pelle.
Ho scritto una sceneggiatura, Paradise Valley, che è andata lo scorso anno in produzione.
Il regista sul set iniziò a modificare alcune sfaccettature dei personaggi, tagliava e modificava delle scene.
Ero scossa, ma non potevo dire niente, alla fine è lui che ha l’ultima parola e io i diritti li avevo ceduti.
Si sa, i registi fanno spesso questo.
Quando ho visto il film terminato, ero a dir poco scandalizzata dalla mancanza di alcuni dettagli che erano stati tolti in fase di montaggio.
Quello che oggi leggo dalle critiche di alcuni esperti è che quello è un film che colpisce, che non stanca mai, che scorre liscio e che piace.
Quindi, se lo scheletro è buono, nessuno te lo demolirà ed ecco perché la sceneggiatura è fondamentale in un’opera cinematografica.
Lo stesso vale per A Beautiful Mind o American Beauty, film citati a caso.
Senza i cast geniali, magari i risultati non sarebbero stati da Oscar, ma quei film comunque non potevano venirne fuori brutti perché’ trattavano storie belle e scritte bene.
Perché secondo te oggi il cinema è importante?
Il cinema è stato sempre importante per vari motivi, ma oggi la sua importanza sta prevalentemente nell’intrattenimento.
In un mondo cosi frenetico, dove lo stress fa da padrone, la gente prova sollievo a staccare un attimo la spina e a non pensare ai propri problemi per qualche ora.
Questo è un motivo che vale per la maggioranza delle persone che guardano film, per quel pubblico che non acquista più un biglietto per andare al cinema, ma sceglie di sedersi comodamente sulla poltrona di casa, guardando i colossal o i film indipendenti su Netflix o Amazon Prime.
Inoltre, come negli anni passati, il cinema resta tuttora un importante veicolo per trasmettere informazioni, fatti sociali, storici e culturali, rappresenta lo specchio della massa.
Ma può anche migliorare le persone tramite storie di meravigliosi personaggi, può peggiorare la società esponendo in modo attrattivo la violenza, le dipendenze, le sensazioni forti, etc.
Tu, Ieva, sei anche una documentarista.
Ci parli del tuo ultimo lavoro che ha riscosso tantissimo interesse soprattutto negli Stati Uniti d’America?
The Bandit Giuliano, in Italia Il Padrino del Bandito Giuliano, è un film documentario che tratta la vita del bandito siciliano Salvatore Giuliano e delle situazioni sociali che si sono create attorno a lui: la politica, la strage di Portella Della Ginestra, gli interessi americani all’inizio della guerra fredda.
In Italia questa storia, dopo più di 60 anni, è ancora sotto il segreto di Stato, anche se la legge dice che “un segreto di stato non può durare più di 30 anni”.
Il Padrino sarebbe il responsabile spirituale del bandito e del suo drammatico destino.
In verità è possibile che ancora oggi ci siano politici coinvolti in questa storia.
Il mio lavoro è stato quello di fare una descrizione a 360 gradi dell’assassino, eroe, bandito romantico Salvatore Giuliano di Montelepre, per dare il mio contributo alla scoperta della verità, che la gente non ha mai conosciuto.
Il film documentario è stato presentato l’anno scorso al Festival di Berlino e distribuito in tutto il mondo dalla casa di distribuzione americana Adler&Associates di Los Angeles.
La prima distribuzione è iniziata in USA e sono stata invitata anche in trasmissioni radio a Boston e New York per parlare della mia opera.
Gli italo-americani hanno un fortissimo interesse per le vicende legate a questo personaggio.
In Italia, inizialmente, molti hanno espresso un interesse palese per la vendita dell’opera, ma successivamente, avendo visto che il film racconta delle verità crude, che si discostano dalla versione ufficiale che tutti conoscono di questa storia, sia dai tempi del film di Francesco Rosi, hanno iniziato a tirarsi indietro.
Ad ogni modo, sul territorio nazionale è possibile vedere il docu-film sulla piattaforma Amazon Prime.
Penso che il mio lavoro possa essere considerato un prezioso contributo alla ricostruzione storica che ha portato all’autonomia della Sicilia e all’inizio della Repubblica Italiana, e che in un certo qual modo rispecchia anche l’Italia dei giorni nostri.
A cosa stai lavorando in questo momento? Quali i tuoi prossimi appuntamenti di lavoro?
in questo periodo scrivo moltissimo per definire dei progetti da presentare a Cannes con la società di produzioni cinematografiche Lykos Film.
Tre delle sceneggiature sono mie e sarò alla ricerca di nuovi produttori.
A Cannes non ci si ferma mai, è un mondo infinito di possibilità e di incontri.
La sceneggiatura alla quale sto lavorando in questo momento si intitola L’Ultimo Codice e ho già diversi acquirenti anche se non ho ancora concluso il lavoro.
Il film Paradise Valley, di cui ho scritto la sceneggiatura, sarà presentato al Marché de Film du Cannes nel periodo del festival.
Immagina una convention all’americana, Ieva, tenuta in un teatro italiano, con qualche migliaio di adolescenti appassionati di cinema. Sei invitata ad aprire il simposio con una tua introduzione di quindici minuti.
Cosa diresti a tutti quei ragazzi per appassionarli al mondo della recitazione, del teatro e della settima arte? Quali secondo te le tre cose più importanti da raccontare loro sulla tua arte?
È molto importante che si parta con consapevolezza e quindi direi loro di appassionarsi, ma con un certo distacco possibilmente.
La settima arte è come una musa che tutti vogliono, ma in pochi la possono avere.
È quella musa di grande bellezza che quando meno te lo aspetti, ti stupisce e quando fai progetti, ti delude, tanto da stroncarti.
Direi loro che provoca grave dipendenza e che ogniqualvolta cercheranno di cambiare strada, non riusciranno a resistere e torneranno indietro oppure la penseranno sempre, angosciandosi per tutta la vita.
Il cinema è magia, ma comporta un percorso doloroso, che uno sia attore, sceneggiatore, regista o produttore, fa lo stesso.
A loro la scelta! La concorrenza è tanta, dovranno avere costanza, fiducia, dedizione e disciplina, ma non prima di essere certi che dietro tutto ci sta una buona dose di talento. Come per tutte le cose belle, vale la pena sacrificarsi.
La mia arte è quella di sfruttare le esperienze dolorose per imparare e rafforzarmi, è quella di cogliere le frustrazioni, i timori, le angosce, la felicità, la gioia e farne tesoro, trasportandole nella mia recitazione e nelle mie sceneggiature.
Penso che per fare bene questo lavoro bisogna vivere la vita fino in fondo, con tutte le sue sfaccettature, trasformando il proprio bagaglio di esperienze in un bagaglio di risorse che all’occorrenza dovrai essere in grado di aprire e di mostrare con generosità al mondo intero.
Ieva Lykos
E per finire, un gradito saluto :
https://www.imdb.com/name/nm7168893/
https://www.facebook.com/ievalykos
“The Bandit Giuliano”
https://adlerandassociatesentertainment.com/film/the-bandit-giuliano/
https://www.amazon.co.uk/dp/B077SM3TCX/ref=cm_sw_r_cp_ep_dp_I4ECBbVYR0NJY