Che strana espressione Global Warming.
La comunità scientifica e la stampa italiana poi ce l’hanno propinata col termine riscaldamento globale, che se possibile fa anche meno paura. Eppure qui si parla di fenomeni meteorologici che potrebbero condurre il pianeta ad attraversare diverse ere glaciali, col rischio di estinzione delle specie viventi. Inclusa la nostra.
In un futuro tanto lontano quanto prossimo, in questo piccolissimo b-movie, la situazione è radicalmente mutata rispetto a come vediamo oggi il nostro pianeta. I livelli di CO2 hanno reso la nostra vita impossibile e dopo una catastrofe di livello mondiale, si è scelto di andare a colonizzare altri pianeti, nello specifico una luna di Giove.
Tra le poche persone a continuare a vivere sulla terra c’è la giovane e bella scienziata Sam Walden (Margaret Qualley, figlia di Andie MacDowell e già vista in The Nice Guys e soprattutto nella serie The Leftlovers). Sam conduce alcuni esperimenti sulle api nella speranza di poter rivedere un giorno il suo pianeta di nuovo vitale. Un giorno si presenta nel suo laboratorio Micah (Anthony Mackie, uno che si è fatto il mazzo per lavorare con i più grandi registi del secolo, ma che verrà ricordato per il ruolo del supereroe Falcon nelle serie degli Avengers, Captain America e Ant-Man).
I due si conoscono e scatta una scintilla, ma c’è poco tempo per prendere l’ultima navicella che abbandonerà per sempre il pianeta terra al suo destino. Il loro destino.
E’ dunque un film post apocalittico quello diretto dal regista Jonathan Helpert, classe ’83, parigino, alla sua opera seconda dopo House of Time (dove affrontava viaggi nel tempo attraverso spaccature nel continuum spazio-temporale). Mentre questo curioso “IO” (questo è anche il titolo oriiginale) e breve (per l’esattezza 1 ora e 36 minuti), rimanda molto a Z for Zachariah, in italiano lo ricorderete con il titolo Sopravvissuti del 2015 con protagonisti Margot Robbie, Chris Pine e Chiwetel Ejiofor. La storia della produzione del film è stata travagliata: originariamente lo sceneggiatore Clay Jester avrebbe dovuto occuparsi anche delle regia, per poi lasciare il compito al giovane e promettente francesino. Mentre il cast che poi si compone di fatto dei due protagonisti avrebbero dovuto essere Elle Fanning e Diego Luna.
Il conseguenziale ridimensionamento del budget ha trasformato il film in un piccolo prodotto, con basse aspettative e nessuna pretesa. Ed è vero la pellicola non è un fulmine a ciel sereno. Si appiattisce non per mancanza di sub plot, a volte ne basta anche solo uno e in questo gli autori non hanno sbagliato. Il ritmo si assopisce semmai per la mancanza di scoop narrativi. Ogni colpo di scena è purtroppo intuibile già dopo pochi minuti di film.
Ma per fortuna c’è un finale. C’è sempre stato ovviamente nella testa degli autori. Non è un finale sconvolgente ma è elegante, imperfetto e meravigliosamente poetico. Quei 20 minuti di film che non solo salvano l’intero senso di questa produzione cinematografica ma la trasformano in un piccolo gioiellino, grezzo, difettoso ma che non si dimentica facilmente.
Tutto parte da una citazione di Leda and the Swan, poesia di William Butler Yeats. Per chi non la conoscesse, fa riferimento alla leggenda di Zeus che s’innamorò di Leda per concupirla e con lei giacere e creare progenie, umane e divine poco importa, Il film si eleva ancor di più a metanarrazione con forti valenze etiche e sociali sull’argomento ecologico.
Credere fino in fondo che il destino della terra non sia segnato, ma che servirà di certo un cambiamento radicale per salvare questo pianeta rovinosamente infetto. L’autore si pone proprio questa domanda: quante persone credono nella necessità di salvare il futuro della terra e soprattutto, quanti di questi umani lo farebbero a rischio della loro vita?