Home Speciale Approfondimenti 5 consigli: una brevissima introduzione al cinema muto

5 consigli: una brevissima introduzione al cinema muto

Il quella del muto viene spesso visto come un’epoca d’oro del cinema, un periodo nel quale qualsiasi film prodotto era bello. Ebbene, come molti storici del cinema sostengono, così non è. Anche i primi trent’anni circa di vita del cinema hanno visto pellicole scadenti che, per fortuna (o purtroppo), sono andate perdute. Dunque, a noi son giunti solo capolavori che hanno segnato la storia del cinema ma che, ahimè, solo i cinefili più incalliti amano guardare, mentre la maggior parte del pubblico li ignora. Comprensibilmente, direi. Perché il cinema in Italia è solo commerciale, perché nelle scuole si studia storia dell’arte ma non storia del cinema e, quindi, non v’è alcun tipo d’istruzione cinematografica, neanche superficiale. Oggi noi di JAMovie abbiamo deciso di indicare una microscopica manciata di film muti da recuperare, consigliati a coloro che non ne hanno mai visto uno ma che ne sono comunque incuriositi.  Si presenteranno brevemente cinque titoli fondamentali per la storia del cinema che hanno influenzato gli 80/90 anni successivi; ovviamente non verranno elencati in ordine di bellezza, essendo tutti e cinque dei capolavori senza tempo. Ultima precisazione, non saranno presenti numerosissimi capolavori, poiché sceglierne solo 5 significa escluderne centinaia altrettanto validi: quelli qui presenti sono quelli che, secondo chi sta scrivendo, possono risultare i migliori e più facilmente usufruibili per chi non ha mai visto un film muto.

5. Nanook l’Esquimese (Nanook of the North) di Robert Flaherty – USA/Francia, 1922

Il film senza il quale, molto probabilmente, non sarebbe mai esistito il genere documentario. Nanook l’Esquimese racconta la storia di una famiglia Inuit, quella di Nanook, introducendo nella storia del cinema il genere della non-fiction, sebbene molte controversie siano sorte circa la finzione utilizzata per certe scene, che hanno una messa in scena propria del cinema di finzione. Già, in precedenza, erano state prodotte pellicole di stampo documentaristico, come i film Lumière, tuttavia Nanook l’Esquimese è il primo lungometraggio di questo tipo nella storia del cinema. Una delle scene più criticate, che evidenzia il falso animo da non-fiction, è quella della costruzione dell’igloo, che normalmente sarebbe troppo piccola per poter contenere una macchina da presa. Eppure la casa della famiglia viene ripresa anche dall’interno, illuminata appositamente per le riprese, risultando quindi in una scena poco reale e molto cinematografica. Ma nonostante queste controversie, Nanook l’Esquimese è un film fondamentale e meraviglioso, dal quale si son sviluppati diversi rami del cinema che hanno condotto sia ai documentari come quelli di Discovery, per esempio, sia ai film etnografici, di finzione o no, come The Horse Thief di Tian Zhuangzhuang.

4. Berlino: Sinfonia di una Metropoli (Berlin: Die Sinfonie der Großstadt) di Walter Ruttmann – Germania, 1927

Uno dei principali esponenti del cinema astratto, insieme ad Oskar Fischinger e Viking Eggeling, Walter Ruttmann nel 1927 ha traslato l’astrattismo cinematografico da un contesto puramente grafico ad uno reale. Se, infatti, i suoi film precedenti, come quelli dei suoi colleghi, presentavano come protagoniste forme geometriche e linee, Berlino: Sinfonia di una Metropoli sfrutta la capitale tedesca per creare una sinfonia visiva. Un film non narrativo né documentario, è pura meraviglia visiva che si basa su un montaggio serrato e ritmato, che fa danzare le inquadrature con eleganza e leggiadria.

3. Il Gabinetto del Dottor Caligari (Das Cabinet des Dr. Caligari) di Robert Wiene – Germania, 1920

Capolavoro del cinema horror muto, Il Gabinetto del Dottor Caligari è anche pietra miliare dell’espressionismo tedesco, che in questo film del 1920 vede il suo apogeo. Come i dipinti che a questa corrente artistica appartengono, così anche questo film rispecchia la crisi intellettuale che si è resa protagonista della riflessione filosofica della prima metà del ‘900, giocando molto sul tema del doppio come mezzo di definizione del limite che separa la realtà dalla menzogna. Le scenografie sghembe e spigolose, in puro stile espressionista, rendono l’atmosfera del film quasi irrespirabile, opprimente ed allucinata, coadiuvate da una regia pacata e lenta, con un montaggio minimale, che si affida a lunghe inquadrature statiche.

2. La Corazzata Potëmkin (Bronenosets Potëmkin) di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn – URSS, 1925

Uno dei film muti più noti ma famigerati di sempre, almeno qui in Italia, grazie a (o forse sarebbe meglio dire “a causa di”) una celeberrima battuta di Fantozzi, La Corazzata Potëmkin è uno di quei film circondati da un alone di leggenda ed orrore, agli occhi di chi non l’ha mai visto. Basti pensare che molti pensano che duri numerose ore, mentre, invece, la sua lunghezza è inferiore ad un’ora e venti. Ma, al di là delle quisquilie popolari, questo film è una di quelle opere che, forse ancor più di qualsiasi altro film presente in questo articolo, andrebbe obbligatoriamente visto da chiunque si definisca appassionato di cinema. I motivi sono innumerevoli ma quello più importante è la sua attenzione maniacale al montaggio. Il cinema muto sovietico, infatti, è stato pioniere della sperimentazione del montaggio, partendo dal padre di quest’arte, David Wark Griffith, per raffinarla e renderla centro dell’interesse dei teorici e dei registi russi. Ėjzenštejn, tra tutti i grandi nomi sovietici, è quello che maggiormente ha contribuito allo sviluppo di questa fase produttiva e, probabilmente, senza La Corazzata Potëmkin il cinema come lo conosciamo oggi non sarebbe mai esistito.

1. La Passione di Giovanna d’Arco (La Passion de Jeanne d’Arc) di Carl Theodor Dreyer – Francia, 1928

Considerato come l’ultimo capolavoro del cinema muto, La Passione di Giovanna d’Arco è il film che meglio rappresenta la poetica del Maestro danese Carl Theodor Dreyer, il suo minimalismo formale, che in futuro si svilupperà ulteriormente in film come Ordet, senza però mai raggiungere la potenza de La Passione, vede in questo film francese la sua massima espressione. I primi piani dominano l’intera durata della pellicola, rendendo qualsiasi collocazione spazio-temporale assente. Dove si svolge la storia? Quando si svolge? Solo i capi d’abbigliamento della crudele giuria si rendono indizi del setting del film, il quale diviene una riflessione, nonché massimo ritratto universale, del dolore. Poche sono le inquadrature che non si concentrano sui volti ed ogni singolo frame del film ha una valenza simbolica raramente presente in qualsiasi altro film. La Passione di Giovanna d’Arco non è affatto un’opera semplice da guardare ma è, senz’altro, una delle esperienze cinematografiche più soddisfacenti che mai si potrebbero vivere, un film che vivrà in eterno nella storia del cinema e nella mente (e nel cuore) di chi lo ha visto.