Brian De Palma cita e viene citato, prende e crea, omaggia e viene emulato. Il Fantasma del palcoscenico è proprio ciò che si direbbe essere un ”biglietto da visita”, da tener custodito e da ripescare in ogni momento.
De Palma, inoltre, non può non essere uno dei più grandi registi della sua epoca ancora in circolazione. Il fantasma del palcoscenico, classe 1974 e ben 24 anni di vecchiaia per Phantom of the paradise, è un capolavoro senza tempo.
L’opera mescola l’orrore ai dubbi esistenziali, alle delusioni vitali e d’amore e a ciò che più dà voce alle parole dell’uomo: la musica.
Swan (Paul Williams) è un produttore discografico di grande successo, il cui sfrutta i talenti altrui da lui trovati per guadagnare denaro. Un giorno l’uomo si imbatte nella musica al piano di Winslow Leach (William Finley), un compositore anonimo. Leach ha terminato la sua opera al piano classico/pop basata sulla storia del Faust, poema maledetto di Goethe. Swan però non vuole la sua lunga composizione, bensì delle canzoni finite e dalla corta durata.
Il suo agente promette a Leach di richiamarlo e di stipulare un contratto con la casa discografica, al fine di renderlo un cantante di enorme fama. Leach non viene richiamato e, dopo un mese, si reca da Swan per delle spiegazioni, arrivando persino nella sua abitazione. Lì, il giovane scopre una lunga fila di donne, giovani promettenti cantanti. Sono lì per delle audizioni e cantano una sua canzone. Leach nota, tra di loro, Phoenix (Jessica Harper), dotata di enorme talento.
Leach viene pestato e fatto passare per uno spacciatore e così condannato all’ergastolo, per poi scappare dalla prigione colto da un raptus. L’uomo è protagonista di un incidente, che gli danneggia le corde vocali e il volto per sempre e, per lo sconforto, si getta in mare. Leach viene creduto morto dalla stampa e da tutti i suoi conoscenti.
Winslow però tornerà, assetato di vendetta nei confronti di chi l’ha martoriato, in cerca dell’unica musa a cui egli è intenzionato a dare la sua opera musicale.
Il fantasma del palcoscenico è uno dei progetti cinematografici più particolari e riuscite del regista statunitense. Prendendo elementi da Il fantasma dell’opera, Faust, Il ritratto di Dorian Gray e Il gobbo di Notre Dame, De Palma divenne un’icona di stile. Uno stile molto raffinato e strambo, splendidamente grottesco, intrinseco in Dario Argento (molte inquadrature sembrano quasi essere espresse in Suspiria, dove poi avrà recitato la medesima protagonista Jessica Harper tre anni dopo) e Jim Sharman (di cui ricorda molto The Rocky Horror Picture Show).
Il film è una profonda riflessione sull’esistenza, su ciò che si possiede e ciò che si perde, sulla personalità rubata e l’alter ego che emerge: l‘Io che muore e l’Altro che nasce.
Il collante tra dramma, commedia e orrore è qui la musica, che esprime i concetti più reconditi nell’uomo trasportandoli verso il mondo intero. Ciò che più non riusciamo a dire, la musica lo racconta, che sia in maniera soave o immediata.
Il fantasma del palcoscenico è una continua e violenta lotta, interiore e fisica, tra la purezza, la profonda e mera virtù del bianco dell’anima non ancora macchiata, e la falsa, marcia impurità dell’uomo. La battaglia tra chi vorremmo essere, chi siamo veramente e chi ci fanno divenire col tempo.
Però, anche quando diventiamo impuri, c’è in noi un sentimento che continua a persistere, a vincere più di qualsiasi altro nello spettro emotivo: l’amore. Ed è proprio l’amore per Phoenix che spinge Leach a rialzarsi sempre, anche se distrutto, danneggiato fisicamente e privato di ogni cosa che lo rendesse lui.
L’uomo è ormai un vero e proprio mostro, un ripudio sovrumano, ma ancora capace di provare sentimenti verso una donna che l’ha ammaliato soltanto cantando un suo componimento maledetto, lo stesso che ha maledetto lui e la sua intera esistenza.
Ma poco importa, se grazie a tutte queste sventure l’uomo è stato capace di ascoltare la sua sirena ed essere ammaliato dai suoi occhi. Poco importa di non essere neanche più parte del mondo, se quel mondo l’ha vissuto nella voce della sua amata, l’unica al mondo capace di averlo notato nell’oscurità della solitudine, dell’indifferenza, della discriminazione sociale.
Il fantasma del palcoscenico non è soltanto un musical, ma un’illusione filmica che trasmette angoscia, amarezza e un dolore puro e lancinante. Ma De Palma non è soltanto pessimista nella sua opera. Egli dona al suo personaggio, ormai prigioniero del delirio totale, un finale, seppur mesto, pienamente liberatorio.
Siamo tutti in parte Phoenix, donna plagiata dal potere del male e pentita alla vista della tragica realtà derivata dai suoi errori, ma siamo tutti un po’ Leach, vittima del sistema, prosciugato della sua identità ma ancora combattente verso qualcosa di più grande di lui, con l’arma più dominante di tutte.