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High Life – La vita trova sempre un modo

“Ciò che chiamiamo passioni non è energia spirituale ma solo attrito tra animo e mondo esterno.”

High Life, opera ultima e definitiva di Claire Denis, non potrebbe essere meglio introdotta che da questo passaggio chiave di Stalker del maestro sovietico Andrej Tarkovskij,

Una volta aiuto regia di gente come Jarmusch, Wenders, Costa-Gavras, Rivette, la regista parigina raggiunge forse la sua piena maturità artistica. Dopo na lunga carriera sperimentale, estrema, ossessiva, la frontiera del panorama cinematografica mondiale, la Denis costruisce con una spiazzante coerenza intellettuale, un’opera che va intesa come logica conclusione (tappa) del suo cammino. In questo disturbante kammerspiel fantascientifico, oltre ad avvertire gli echi tarkovskijani di opere come Solaris e appunto Stalker, ritroviamo alcune tematiche care alla regista. La spietata analisi della condizione di essere umano in contesti sociali estremi e conflittuali. Così era stato per Nénette e Boni e così anche per Trouble Every Day (orrendamente tradotto col titolo Cannibal Love – Mangiata viva).

Come dicevamo siamo nello spazio più remoto. C’è da portare a termine una missione impossibile. Una condanna a morte dichiarata in partenza per un gruppo di reietti della società. Tutti con un passato da dimenticare. Emarginati e delinquenti come Monte (il novello Batman Robert Pattinson), la provocante dott.ssa Dibs (un’immensa Juliette Binoche) e l’eterea Boyse (Mia Goth, reduce dal Suspiria di Guadagnino). Galeotti che per i loro peccati sulla Terra sono stati inviati come cavie, su una navicella spaziale, alla ricerca di energia da un Black Hole. Fino all’ultimo, quello più promettente, più stabile. E se, come diceva Hawking, il Big Bang, ha avuto origine da un buco nero “inverso”, allora High Life diventa un “Traité de mécanique humain” (parafrasando l’opera seminale di Pierre-Simon de Laplace).

L’origine della vita, inarrestabile, che trova sempre un modo, un sistema, una scorciatoia se necessario, un wormhole (giusto per restare in tema). L’equipaggio vive le proprie pulsioni fisiche ed emotive in una gabbia tutt’altro che dorata. Oppressi da uno spazio ridotto in uno spazio infinito. Metafora dell’insofferenza umana davanti alla sua naturale istintiva impermanenza.

Intimo, spirituale e drammaticamente esistenzialista, High Life è un film che guarda oltre, avanti sicuramente. Una pellicola che concede molto poco allo spettatore. Un film che urla silenziosamente, come una deflagrazione quatta, come un rumore nello spazio.

A tal proposito sono superbe e inquietanti le musiche dei Tindersticks, indi band britannica, collaboratori di lunga data della Denis. Tra i pezzi si distingue la meravigliosa Willow scritta proprio da loro e cantata egregiamente da Robert Pattinson.