In America, o almeno nell’America sportiva, lo chiamano “lockout”. Si tratta non di un vero e proprio sciopero ma di una specie di serrata. Per gli amanti del basket statunitense un lutto. Nella storia della National Basketball Association, è accaduto solo quattro volte e si tratta di un blocco totale delle attività sportive e non solo. Niente operazioni sul mercato, nessuna amichevoli, esibizioni o summer camp e via dicendo. Quando è accaduto l’ultima volta sono stati in molti a lamentare la necessità di un “modello di business sostenibile”. La NBA produce un giro annuo di 4.2 miliardi di dollari.
Qui lo sport c’entra veramente poco.
E in effetti nel nuovo film di Steven Soderbergh, ancora dietro un iPhone dopo Unsane, di canestri ne vediamo pochi. Non vi aspettate dunque signature shoe che stridono sui playgum dei palazzetti delle grandi franchigie nordamericane. Niente Jump hook, Dunk shot, Hack-a-Shaq, Fade-away e via dicendo, ma solo dialoghi serrati su faccende che non hanno nulla a che fare col gioco ma che sono diventate il gioco. Parliamo di soldi ovviamente, dello sfruttamento dei talenti (neri in particolar modo), di manager, della National Basketball Players Association, dei diritti d’immagine, dei diritti televisivi e di tutto ciò che sta uccidendo questo, ed altri, sport.
La storia è quella di un procuratore che si trova nel mezzo dello sciopero dei giocatori. Da una parte vuole che tutto finisca il prima possibile (altrimenti rischia di finire sul lastrico) e dall’altra deve comunque sostenere la causa dei suoi clienti.
A scrivere la sceneggiatura c’ha pensato Tarell Alvin McCraney, al suo secondo film dopo il Premio Oscar vinto nel 2016 con Moonlight di Barry Jenkins.
Il risultato è un’anomalia molto interessante. High Flying Bird è infatti un prodotto molto local, che mai sarebbe stato distribuito in Italia se non ci fosse stato il canale di Netflix. Il film di Soderbergh infatti può apparire molto flat, ma in realtà è un film vispo e irriverente, sarcastico e pungente.
Infatti qui non si parla solo dell’NBA ma dell’America intera, del concetto stesso di capitalismo e dello show business che ha trasformato la poesia del gesto sportivo in un enorme demogorgone monetario. Se non girano i soldi non gira la palla, insomma.
Regista e sceneggiatore non si accontentano di puntare il dito contro queste dinamiche economiche ma ne approfittano per riflettere anche sul cinema. Ancora una volta Soderbergh gira con un cellulare e arriva direttamente ai consumatori tramite la piattaforma streaming, bypassando il pizzo di produttori e distributori.
C’è alla fine anche un ammiccamento ancora più ad ampio raggio, quando sul finale suonano le note della splendida “Handsome Johnny” storica canzone contro la guerra. Il pezzo scritto da Richie Havens nel 1967 insieme al futuro Premio Oscar Louis Gossett Jr. (si proprio lui!!), ritrae un povero soldato afroamericano affrontare tutti i campi di battaglia, da Gettysburg a Dunkirk, dal Vietnam al celebre “Marching to the fields of Birmingham”. Sono anni di protesta anni in cui si fa l’America, quella dei diritti civili.
Un’ultima cosa: quel disco si chiamava Mixed Bag e conteneva un’altra traccia dal titolo High Flyin’ Bird.
Tutto torna insomma.