Partiamo dal presente. A gennaio è iniziato il processo dell’ex sacerdote e cappellano scout della diocesi di Lione, Bernard Preynat, accusato di decine di abusi su minori.
L’Affaire Preynat ha avuto inizio dopo una lunga e dolorosa ricostruzione fatta da alcune delle vittime ormai adulte. Le accuse oltre all’ex prete hanno coinvolto anche il cardinale Philippe Barbarin, reo d’aver taciuto riguardo alle molestie avvenute tra gli anni ’70 e ’80. Le parole di Preyant sono state: “Ho effettivamente riconosciuto gli atti di cui sono accusato. Non mi rendevo conto della gravità dei miei atti. Sapevo che erano proibiti e condannabili, ma non pensavo affatto alle conseguenze di questi atti sulle vittime. Mi ci è voluto un po’ di tempo per capire che era moralmente sbagliato e condannabile”.
La cosa che sconvolge maggiormente è il lucido distacco con il quale l’ex parroco confessa i suoi peccati. Nella stessa maniera François Ozon svuota i personaggi del suo nuovo film da coinvolgimenti emotivi. I protagonisti diventano così pedine di un gioco drammaturgico volto alla ricostruzione dei fatti e alla ferma denuncia dei colpevoli. In questo Grazie a Dio pur trattando lo stesso delicato argomento di pellicole d’indagine come Il Caso Spotlight o i violenti giochi al massacro familiari di Todd Solondz (Happyness, Perdona e Dimentica), risulta un film completamente diverso.
Vincitore dell’Orso d’argento a Berlino, Grâce à Dieu racconta la storia vera di Alexandre Guérin giovane padre di famiglia, vittima da bambino degli abusi di Preyant.
L’uomo dopo anni di silenzio decide di andare a fondo confessando la sua storia e cercando altre testimonianze simili. Quelle di François (Denis Ménochet) e Emmanuel (Swann Arlaud) ad esempio, anche loro piccoli scout negli anni 80 e ora uomini con le loro famiglie, relazioni, conflittualità e tutte quelle profonde ferite psicologiche che eventi del genere possono causare.
Ma come dicevamo Ozon si tiene a distanza dalla spettacolarizzazione del dolore quasi a voler rendere pan per focaccia alla gelida alienazione delle parole di Preyant quando confessa gli abusi ormai incalzato dalle evidenti prove dell’associazione “La parola liberata”.
Grazie a Dio è una pellicola nuova nella filmografia di Ozon, regista poliforme che ha esplorato stili diversi, ammiccando agli universi cinematografici di autori come Fassbinder, Almodóvar, Truffaut e persino Cronenberg.
Nel complesso esce fuori una prova ammirabile nel proporci un doloroso e necessario cinéma vérité, ma eccessivamente sacrificato stilisticamente.
Bravi gli attori su tutti Swann Arlaud già apprezzato in Petit paysan di Hubert Charuel.